Analisi dell’eresia ratzingeriana alla luce dell’ateismo tomista

Astratto. Premessa pseudo-tomista con dovizia di citazioni testuali. Modus operandi della didattica tomista: kenosis intellettuale. Il Padre Brown di Chesterton come esempio di tomismo investigativo. Controindicazioni. Parallelismo con il m.o. di Ratinzger. Critica di Enrico Maria Radaelli a Ratzinger. Critica della critica. Primo esempio. Secondo esempio. Terzo esempio. Quarto esempio. Quinto esempio.

Ecco un simpatico gedankenexperiment (esperimento mentale da svolgere nella propria testa). Immaginate d’imbattervi in un teologo che sostiene questa tesi ardita: San Tommaso d’Aquino era ateo. Egli non credeva all’esistenza di Dio. Tutta la sua opera deve essere reinterpretata sulla base di questo dato.
Probabilmente la vostra reazione immediata è un cauto scetticismo, che manifestate al vostro interlocutore nei modi più cortesi. Ma egli è un osso duro e sostiene di avere prove inoppugnabili: una buona dose di citazioni prese direttamente dall’opera del Dottore Angelico. Voi manifestate ulteriore scetticismo. Ma il teologo apre un paio di virgolette e vi molla questo brutale uppercut teologico:

«[28315] Iª q. 2 a. 3 arg. 1
Sembra che Dio non esista. Infatti:
Se di due contrari uno è infinito, l’altro resta completamente distrutto. Ora, nel nome Dio si intende affermato un bene infinito. Se dunque Dio esistesse non dovrebbe esserci il male. Viceversa nel mondo c’è il male. Quindi Dio non esiste.»

Con tanto di link, che voi controllate precipitosamente:

http://www.gliscritti.it/dchiesa/summat/parte10.htm#h413

http://www.carimo.it/somma-teologica/I_q2.htm#3

Scoprite con orrore che San Tommaso l’ha scritto davvero. Barcollate attoniti. E l’implacabile prosegue: Tommaso non solo era ateo, ma pure scettico kantiano! Infatti argomentava così l’indimostrabilità razionale di Dio:

«[28307] Iª q. 2 a. 2 arg. 1
Sembra che non sia dimostrabile che Dio esiste. Infatti:
Che Dio esista è un articolo di fede. Ora, le verità di fede non si possono dimostrare, poiché la dimostrazione ingenera la scienza, mentre la fede è soltanto delle cose non evidenti, come assicura l’Apostolo [Eb 11, 1]. Quindi non si può dimostrare che Dio esiste.»

http://www.gliscritti.it/dchiesa/summat/parte10.htm#h412

http://www.carimo.it/somma-teologica/I_q2.htm#2

L’ha scritto, l’ha scritto! Non si può negarlo. Lo vedete coi vostri stessi occhi. Il terreno vi si apre sotto i piedi. Desiderate l’equivalente teologico di una coperta di Linus. Riuscite soltanto a balbettare: ma come è possibile che nessuno, in ottocento e passa anni, se ne sia mai accorto? Nessuno prima del teologo che vi sta di fronte? A questa domanda egli si stringe nelle spalle con aria modesta e allontana da sé ogni onore. L’importante è che qualcuno abbia finalmente squarciato il velo. E si allontana a testa alta verso il tramonto, a portare la verità a qualche altro errante nella valle oscura, mentre voi siete ancora sotto shock e sentite il bisogno di sedervi sulla prima panchina dell’autobus che trovate. Siete schiacciati dalla prospettiva di dover ricalibrare tutto il vostro sistema di pensiero alla luce di queste rivelazioni. Maledicete la vostra pigrizia, perché diciamoci la verità, non vi siete mai presi la briga di andare a leggere direttamente la Summa. Non ce n’è bisogno, giusto? È una di quelle cose che si sa che esistono senza bisogno di toccarle con mano. Ma ora capite che quel che credevate di sapere vi è stato trasmesso da intermediari, educatori, divulgatori che evidentemente non erano così attendibili. Meccanicamente, con mani tremebonde, riaprite i link e andare a leggere le orribili frasi.

Questa volta però leggete con più attenzione e senza fretta. Non vi limitate a controllare se quei virgolettati ci sono davvero; leggete anche il contesto, il prima e il dopo. E così scoprite che, a proposito dell’esistenza di Dio, Tommaso prosegue così:

«[28318] Iª q. 2 a. 3 co.
RISPONDO: Che Dio esista si può provare per cinque vie. La prima e la più evidente…»

Ah.
E poi:

«[28319] Iª q. 2 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino: “Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe in nessun modo che nelle sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto potente e tanto buono, da saper trarre il bene anche dal male”. Sicché appartiene all’infinita bontà di Dio il permettere che vi siano dei mali per trarne dei beni.»

San Tommaso non è ateo! Straordinario! Siete esterrefatti dalla scoperta dell’acqua calda. Allora forse non è neppure scettico kantiano. Correte a controllare:

«[28312] Iª q. 2 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’esistenza di Dio ed altre verità che riguardo a Dio si possono conoscere con la ragione naturale, non sono, al dire di S. Paolo, articoli di fede, ma preliminari agli articoli di fede: difatti la fede presuppone la cognizione naturale, come la grazia presuppone la natura, come (in generale) la perfezione presuppone il perfettibile. Però nulla impedisce che una cosa, la quale è di suo oggetto di dimostrazione e di scienza, sia accettata come oggetto di fede da chi non arriva a capirne la dimostrazione.»

Emettete un ululato. Saltate in piedi e vi guardate intorno alla ricerca del teologo, mentre le vostre mani si aprono e si chiudono in gesti inconsulti. Ma il personaggio si è già allontanato, d’ora in poi risulterà impermeabile a tutti i vostri tentativi di contatto, e a voi resterà questo dubbio irrisolto: ma ci è o ci fa?

Fine del gedankenexperiment.


Allora, la faccenda funziona così. Quando San Tommaso vuole dimostrare una tesi, per prima cosa espone la tesi contraria (“sembra che”); dopodichè sintetizza la tesi da dimostrare (“in contrario”), che poi espone in dettaglio (“rispondo”); infine confuta la tesi inizialmente esposta (“soluzione delle difficoltà”). Quasi tutta la Summa Teologica è scritta a questo modo.
Il che è molto bello ed istruttivo. Molti secoli prima di tutte le scempiaggini moderne sul dialogo, San Tommaso è assai più moderno e dialogante di tutti i moderni dialoganti. È così convinto della verità che non esita a calarsi nell’errore, come un uomo pulito potrebbe entrare in una fossa settica, per tirarne fuori chi ci sta dentro e portarlo alla verità quasi caricandoselo sulle spalle. È una specie di kenosis intellettuale. Tommaso si immedesima nell’errante, pensa con la sua testa, capisce il motivo per cui il falso sembra vero, e solo dopo tutto questo può dimostrare che il vero è vero e il falso è falso.

È degno di nota che Chesterton, il quale non per caso ha scritto una biografia su San Tommaso, in un certo senso replica questo modus operandi con il suo famoso prete detective. Il segreto di padre Brown per trovare il ladro o l’assassino è precisamente questo: consapevole che ogni male è un bene difettoso, egli sa che il motivo per cui un uomo ha compiuto un’azione cattiva è che gli sembrava che fosse buona, e ripercorre i motivi per cui quell’azione cattiva poteva sembrare buona, ed entra nella testa del ladro e dell’assassino fino a capirne l’identità. Perché ormai nella sua testa lui stesso è il ladro e l’assassino; perché qualunque peccatore, non fosse che per l’azione della Grazia, potrebbe commettere qualunque peccato. “Voi potete pensare che un delitto è orribile, perché non potreste mai commetterlo; io, invece, lo penso orribile appunto perché potrei commetterlo”.

Sfortunatamente, non per colpa di Tommaso bensì per la nequizia del mondo, questa didattica ha una pesante controindicazione: c’è chi, per errore o per malafede, attribuisce a Tommaso proprio quella tesi che lui espone al fine di confutarla.
Sembra uno scherzo, ma è proprio così. Succede davvero. E ovviamente chi cade in questo tranello ha sempre a disposizione una citazione testuale per dimostrare che Tommaso “l’ha detto”, e non si prende mai la briga di controllare il contesto attorno al testo, al massimo un’occhiata veloce giusto per controllare se il testo c’è davvero (ovvio che c’è), e immediatamente chiude la pagina soddisfatto di avere ragione.
Io prima ho estremizzato ma non troppo. A mia scienza nessuno è così insano da sostenere davvero l’ateismo tomista, tuttavia ho personalmente litigato con chi sosteneva, citazioni alla mano, che Tommaso “dice” che Dio è indimostrabile con la ragione, o che bisogna seguire la propria coscienza a costo di violare i dieci comandamenti. Non scherzo, ho le discussioni salvate. Sui siti ateisti girano citazioni compiaciute di Tommaso che “dice” le cose più agghiaccianti circa l’inferiorità delle donne rispetto agli uomini o dei sudditi rispetto ai re. Ultimamente alcuni attribuiscono all’Aquinate perfino l’idea che la virtù cardinale della prudenza (epikeia) possa legittimare la violazione di una norma morale assoluta; ma questo è, forse, un altro doloroso discorso.


San Tommaso è la vittima più illustre di questo cattivo utilizzo delle citazioni, ma non è l’unica. Un altro perseguitato dalle virgolette selettive è Joseph Ratzinger, aka Benedetto XVI.

Andiamo al dunque. Sono saltato sulla sedia quando ho letto la prefazione di Antonio Livi al recente libro di Enrico Maria Radaelli “Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo”. Con questo libro, Radaelli critica pesantemente la teologia di Ratzinger e in particolare il suo libro Introduzione al cristianesimo. Scorrendo l’indice, si evince che Radaelli accusa Ratzinger di una quantità immensa di misfatti: scetticismo kantiano, fideismo, hegelismo, storicismo, immanentismo, neocatarismo… praticamente manca solo l’abigeato. Successivamente Livi ha un po’ attenuato le critiche, con una parziale retromarcia-rectius-precisazione da cui mi pare di evincere che il suo scontento per Ratzinger sia dovuto, non tanto al pensiero teorico, quanto al governo pratico [nota 1]. Radaelli invece non solo non attenua, ma rilancia:

http://enricomariaradaelli.it/emr/aureadomus/convivium/convivium_gesu_dice_bianco_ratzinger.html

“DOVE GESÙ DICE BIANCO, RATZINGER DICE NERO”

Totale inconciliabilità, da una parte degli insegnamenti di Sacre Scritture e dogmi della Chiesa, dall’altra degli insegnamenti esposti dal Professor Ratzinger”.

Totale inconciliabilità. Bianco versus nero. Boom.
Per nostra fortuna, qui Radaelli argomenta le sue accuse, riassumendole a vantaggio di chi fosse troppo povero o troppo spilorcio per comprare il suo libro [nota 2], sostenendole con una buona dose di citazioni testuali.
L’accusa più grave è quella di scetticismo kantiano. In parole povere, secondo Radaelli, l’esistenza di Dio per Ratzinger sarebbe un fatto non dimostrabile con la ragione ma soltanto credibile per fede. Questo concetto è sempre stato condannato dalla teologia cattolica fino ad essere dogmatizzato dal Concilio Vaticano I: la costituzione dogmatica Dei Filius: afferma solennemente che la pura ragione umana può arrivare ad alcune verità su Dio, in primo luogo il fatto che Dio esiste, ad esempio attraverso le summenzionate cinque vie di San Tommaso; in questo la fede aiuta e conferma, ma non è strettamente necessaria. Invece per altre cose (es. la Trinità) è proprio necessaria la fede.
Voi capite che accusare Ratzinger di negare un dogma, di negarlo da molti decenni (Introduzione al cristianesimo è del 1968), è roba pesante. Ma proprio pesante. A parte tutto il resto, andiamo ad aggrovigliarci nella spinosa questione se sia o non sia possibile un Papa pubblicamente eretico. Inoltre non ci fa una bella figura neppure Giovanni Paolo II, che avrebbe chiamato un eretico pubblico e impenitente a capo della Congregazione della Dottrina della Fede.

Ebbene.
Io non ho titoli particolari per esprimermi in questa vicenda. Non sono di mestiere né teologo né filosofo. Sono solo uno che è cattolico (o almeno ci prova) e che usa la materia grigia (o almeno ci prova).
Tuttavia, in quanto depositario di un cervello affidatomi dalla Provvidenza, chi sono io per rifiutarmi di farne uso? Chi sono io per non giudicare?

Esprimo pertanto il mio umile giudizio: accusare Ratzinger di sfiducia nella ragione umana è una sesquipedale sciocchezza. In estremissima sintesi, tutto il pensiero di Ratzinger è basato sull’armonia tra fede e ragione; è l’esaltazione dell’ascendenza ellenica del cristianesimo, il quale non si fonda solo sulla religione ebraica ma anche sulla filosofia greca, su quello che Ratzinger non teme di chiamare addirittura “illuminismo”. Cristo è Logos, è Razionalità; l’atto di fede non è un mero “sentimento” ma un vero e proprio atto della ragione.
Potrei menzionare decine e decine di libri, discorsi, omelie, encicliche di Ratzinger che illustrano questo concetto; probabilmente il più bello è la famigerata lezione di Ratisbona. Qui mi limiterò a un passaggio breve ma esemplare:

«La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore.»
Benedetto XVI (discorso del 19/10/2006)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/october/documents/hf_ben-xvi_spe_20061019_convegno-verona.html

Questo paragrafo mi piace molto perché esemplifica egregiamente non solo il pensiero ma anche il modus operandi di Ratzinger, che prima di essere Papa è un teologo e soprattutto un professore. Il tenore letterale delle parole è “chiediamoci se non…”: sulla base di questa scelta verbale, qualcuno vuole seriamente ipotizzare che il Papa stia precisamente “dubitando”, esprimendo un sua incertezza effettiva? Qui si vede quella somiglianza con il metodo tomista di cui parlavo prima, quella “kenosis intellettuale”: il docente, per far capire qualcosa di importante al discente, non si limita ad affermarlo “id est”, ma parte in modo pacato ed interrogativo dalle convinzioni del suo interlocutore. È così che nel ragionamento di Ratzinger questo “chiediamoci se” ci riporta “verso il Logos”.
Il metodo funziona, e possono testimoniarlo in tutto il mondo migliaia di ex pecorelle smarrite: alzi la mano chi deve la sua conversione anche grazie alla lettura di Ratzinger (presente). Tuttavia per trarre profitto dalla lettura è necessario un certo atteggiamento mentale, un certo “anticipo di simpatia senza il quale non c’è comprensione” (cit. premessa alla trilogia di libri storici su Gesù). Se invece ci si mette con la lente d’ingrandimento in caccia della frasetta incriminante, estrapolando ciò che supporta l’interpretazione preconfezionata e scartando tutto il resto, allora ci si condanna all’incomprensione.


Dunque io mi si sono letto con una certa attenzione questa “Nota a margine” in cui Radaelli, insegnando che Gesù sta a Ratzinger come il bianco al nero, precisa

“rassicurare il lettore della più ampia contestualizzazione, in questo mio lavoro, delle citazioni del pensiero ratzingeriano, così da poter garantire allo studioso il più largo aiuto per afferrarne, oltretutto, il significato non sempre limpido…”

Non ho motivi per mettere in dubbio la buona fede di Radaelli, tuttavia questa ampia contestualizzazione io non ce la vedo proprio. Amnetto di non aver letto il libro (e onestamente non so se lo farò: pur con il fatidico sconto del 15%, è parecchio costoso) ma solo la sintesi fattane dall’autore: pertanto è possibile che mi sia perso qualche pezzo del puzzle. Tuttavia in tal caso la responsabilità non sarebbe mia, bensì di Radaelli, perché sarebbe lui ad aver fatto un riassunto che che non riassume.
Radaelli enumeri cinque esempi di eresia ratzingeriana, tratti da Introduzione al cristianesimo nonché (per il primo esempio, il più importante) da L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture. Io ho fatto una cosa semplicissima: sono andato a rileggermi questi libri, con attenzione e senza fretta. E ho scoperto che queste “citazioni del pensiero ratzingeriano”, lette nel loro più ampio contesto, assumono un significato diverso [ nota 3].

Segue sintesi dei cinque esempi, della critica di Radaelli, del contesto originale da cui è tratta la citazione.


PRIMO ESEMPIO

Oggetto: certezza dell’esistenza divina.

Radaelli fa due citazioni, una da L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, l’altra da Introduzione al cristianesimo.

§ 1 §

Citazione tratta da L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture:

«quella di Dio rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi» (p. 123).

La critica di Radaelli è annichilente: Ratzinger non crede al 100% all’esistenza di Dio!

Questi cinque esempi, specie il primo, col quale dal 1968 al 2016 l’Autore di Introduzione al cristianesimo persiste nel dubbio dell’esistenza di Dio, che per lui «rimane l’ipotesi migliore, benché sia un’ipotesi », dimostrano l’impostazione mentale scettica, storicista e fideista che le ha originate e che mutano uno per uno tutti gli articoli del Credo.

Contesto originale.

L’Europa di Benedetto si inserisce in un filone di dibattiti con filosofi non cattolici come Marcello Pera e Jurgen Habermas. Proprio la premessa scritta da Marcello Pera è illuminante per capire il senso del ragionamento di Ratzinger:

Papa Ratzinger avanza una proposta ai laici:
«Nell’epoca dell’illuminismo si è tentato di intendere e definire le norme morali essenziali dicendo che esse sarebbero valide etsi Deus non daretur, anche nel caso che Dio non esistesse … Dovremmo capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur».
La proposta è da accettare e la sfida da accogliere. Per una ragione principale: perché il laico che agisca veluti si Deus daretur, diventa moralmente più responsabile. Non dirà più che un embrione è una “cosa” o un “grumo di cellule” o un “materiale genetico”. Non dirà più che un desiderio che abbia uno strumento tecnico per essere soddisfatto è automaticamente un diritto che deve essere reclamato e sancito. […] Al credente che gli proponga di agire veluti si Deus daretur, il laico non credente può e deve rispondere di sì.

Insomma, questa “ipotesi Dio” non è il pensiero in prima persona di Ratzinger, da lui interiormente pensato, bensì la sua proposta ai non cattolici, mettendosi nel discorso dalla loro prospettiva; e soprattutto, non opera sul piano teoretico bensì su quello pratico [nota 4]: non riguarda il cosa ritenere vero ma il cosa fare, quale deve essere il criterio guida dei gestori della cosa pubblica.
In sostanza, dice Ratzinger ai governanti, se voi nel vostro intimo non volete accettare Dio come certezza (di fede e di ragione), accettatelo almeno nel vostro agire come ipotesi operativa; perché una società senza Dio e senza etica diventa ingovernabile e crolla, e questo è un guaio per tutti. Chi volesse approfondire questo discorso può leggere il famoso dibattito tra Ratzinger e Habermas.
Questo ragionamento può sicuramente essere oggetto di critiche e osservazioni le più varie; ma considerarlo come se fosse un’affermazione epistemologica e teologica “forse Dio c’è ma forse no” è proprio prendere un granchio colossale.

§ 2 §

Citazioni da Introduzione al cristianesimo:

«…il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio, trovandosi assegnato il mare dell’incertezza come unico luogo possibile della sua fede,…» (p. 37);
«È la struttura fondamentale del destino umano poter trovare la dimensione definitiva dell’esistenza unicamente in questa interminabile rivalità fra dubbio e fede, fra tentazione e certezza» (p. 39);
«Il credente sperimenterà sempre l’oscura tenebra in cui lo avvolge la contraddizione dell’incredulità, incatenandolo come in una tetra prigione da cui non è possibile evadere,…» (p. 73).

Critica di Radaelli: Ratzinger è un relativista radicale, dubita di tutto!

Il postulato iniziale generalissimo del Professor Ratzinger, secondo cui: «…il credente può vivere la sua fede unicamente e sempre librandosi sull’oceano del nulla, della tentazione e del dubbio», nullifica tutto il libro nonché se stesso medesimo, in quanto circolarmente contraddittorio. Se infatti, per principio, tutto è incerto, allora sarà incerto, per principio, anche il postulato medesimo, che quindi potrebbe essere falso, e saranno comunque incerte, forse false, per principio, tutte le proposizioni del libro e, allora, a che pro non solo scriverlo, ma anche leggerlo? (v., in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 11-21 sul dubbio socratico e su quello scettico, pp. 51-82).

N.B. certo che ci vuole coraggio – chiamiamolo coraggio – ad accurare Ratzinger di essere un apologeta del relativismo radicale.

Contesto originale.

Poco prima della citazione di pag. 37, Ratzinger porta due esempi di dubbio: la tentazione finale di Santa Teresa di Lisieux (p. 34) e il dramma di Paul Claudel La scarpina di raso (p. 35). È particolarmente angosciante l’esempio della santa, che dopo una vita passata nell’ortodossia più certa, proprio poco prima della morte ebbe un momento di smarrimento terribile, un dubbio radicale su tutto ciò che aveva creduto, “mi affiorano alla mente i pensieri dei più perversi materialisti”. Una prova terribile che Teresa ha superato, altrimenti non sarebbe santa: per lei il dubbio è stata la prova finale prima della gloria del paradiso.
Da questi esempi appare chiaro che il discorso di Ratziger ha la prospettiva opposta di quella che gli attribuisce Radaelli. Ratzinger non sta dicendo che il dubbio è bello e che bisogna dubitare di tutto; sta dicendo che il dubbio, come il peccato, è una tentazione da cui non saremo mai definitivamente liberi prima della morte. Chi si pensa “ma tanto a me ormai dubbi non possono venire più, la mia fede è saldissima” sta sopravvalutando i suoi mezzi e peccando di orgoglio.


SECONDO ESEMPIO

Oggetto: teoria della soddisfazione.

Citazione da Introduzione al cristianesimo:

In un’intervista del 2016 a Jacques Servais s.j., pubblicata sull’Osservatore Romano, l’augusto Teologo, già Papa, tornato cardinale pur ricusandone la qualifica, riconfermava la linea dorsale del suo libro ribadendo la convinzione che la Redenzione come ‘riparazione dell’« offesa infinita fatta a Dio »’ è solo una dottrina medievale: una dottrina dovuta, secondo lui, unicamente a un vescovo, peraltro santo, ma lui questo non lo rileva mai, il vescovo Anselmo d’Aosta, la cui « ferrea logica » resta « difficilmente accettabile dall’uomo moderno », così mantenendo inalterato il pensiero formulato cinquant’anni prima in Introduzione al cristianesimo, per il quale essa «ci appare come un crudele meccanismo per noi sempre più inaccettabile » (p. 221).

Critica di Radaelli: Ratzinger nega il Concilio di Trento, nega il dogma della Redenzione come Olocausto di Cristo al Padre.

Contesto originale.

La frase completa di Ratzinger – citata da Radaelli in versione un po’ monca – è questa:

Mi limito a ricordare la forma in cui la dottrina concernente la redenzione è per lo più presente alla coscienza cristiana. Essa si basa sulla cosidetta “teoria della soddisfazione” che è stata sviluppata alle soglie del Medioevo da Anselmo da Canterbury e in Occidente ha condizionato in maniera sempre più esclusiva le coscienze. Essa, già nella sua forma classica, non va immune da unilateralità. Qualora poi la si consideri nella grossolana veste che le ha dato la coscienza generale, ci appare come un crudele meccanismo per noi sempre più inaccettabile.

Si evince che l’oggetto della critica sfavorevole di Ratzinger non è il dogma della Redenzione in sé, ma il modo in cui questo viene generalmente rappresentato e come viene percepito dall’uomo moderno. Il paragrafo si trova all’interno di un capitolo denominato “Cristologia e soteriologia”. Il fondo del discorso di Ratzinger è che le due domande “cosa è Cristo?” e “come ci salva Cristo?” vanno esaminate congiuntamente, altrimenti nessuna risposta è soddisfacente.
A comprensione di Radaelli va detto che il discorso è oggettivamente difficile perché resta sospeso, Ratzinger rimanda a più avanti la risposta “definitiva” (p. 223):

dovremo tornare diffusamente sull’argomento quando sarà il momento di parlare del significato della croce. Per ora può bastare l’accenno al fatto che le cose si presentano in maniera tutta diversa allorchè, invece di separare fra loro l’opera e la persona di Gesù, si vede chiaramente come in Gesù Cristo non si tratti di un’opera staccata da lui stesso, non di una prestazione che Dio deve esigere perché egli stesso tenuto a rispettare l’ordine; come in lui non si tratti di ciò che l’umanità può avere, bensì del suo essere.


TERZO ESEMPIO

Oggetto: la visione di Dio.

Citazione da Introduzione al cristianesimo:

«Dio è e sarà sempre per l’uomo l’essenzialmente Invisibile … Dio è essenzialmente invisibile» (Introduzione al cristianesimo, p. 42);
«nell’Antico Testamento questa affermazione – che “Dio non compare né mai comparirà all’uomo” – assume valore di principio: Dio non è soltanto colui che è ora effettivamente fuori del nostro campo visivo …; no, egli è invece colui che ne sta fuori per essenza [marcatura dell’Autore], indipendentemente da tutti i possibili e pensabili allargamenti del nostro campo visivo » (Introduzione al cristianesimo, pp. 42-3).

Critica di Radaelli: Ratztinger nega che i beati in cielo vedano Dio faccia a faccia!

Dio Padre è perfettamente visibile nel Figlio, e ciò basta alla Chiesa ad affermare – al contrario di ciò che insegna, oltre al Professor Ratzinger, la nozione maomettana – la perfetta visibilità di Dio ai Beati, così chiamati appunto per il fatto che essi godono della visione divina.

Contesto originale.

Io vorrei davvero capire da quale elemento Radaelli tragga la convizione che Ratzinger neghi la visione beatifica nel Paradiso. Sono francamente basito. Non c’è assolutamente nulla, nel testo da cui è tratta la citazione (il primo capitolo del libro: “credere, nel mondo attuale”) che autorizzi una tale intepretazione. È del tutto indebita. Ratzinger sta evidentemente parlando dei vivi, di chi è nel mondo e sperimenta i limiti della conoscenza sensibile. Il discorso prosegue così:

la parola “credo” suggerisce che l’uomo non considera il vedere, l’udire e il toccare come la totalità delle cose che lo riguardano, che non ritiene fissati i limiti del suo mondo solo da quanto può vedere e toccare. […] La parola “credo” implica un’opzione fondamentale nei confronti della realtà in quanto tale; un modo fondamentale di rapportarsi all’essere, all’esistenza, all’intero complesso della realtà. Essa designa l’opzione che ciò che non può esser visto, non è affatto l’irreale, ma è anzi l’autentica realtà: quella che sorregge e rende possibile ogni altra realtà.

Ma secondo voi qui di cosa stiamo parlando? Dei vivi o dei morti?


QUARTO ESEMPIO

Oggetto: la resurrezione della carne.

Citazione da Introduzione al cristianesimo:

Il Professor Ratzinger sostiene che l’uomo, nella beatitudine del Paradiso, «vivrà nella memoria di Dio» (Introduzione al cristianesimo, p. 343), e precisa che « Paolo insegna – ripetiamolo ancora una volta – non la risurrezione dei corpi (Körper), bensì delle persone, e questa non nel ritorno dei ‘corpi di carne’, ossia delle strutture biologiche, che egli indica esplicitamente come impossibile» (Introduzione al cristianesimo, p. 347).

La citazione da p. 347 è monca della della conclusione. Più avanti la riporto intera.

Critica di Radaelli: Ratzinger nega la resurrezione della carne!

Anche qui, sulla base di chiarissime e univoche risultanze poste dalle Sacre Scritture, la Chiesa così dogmatizza: «Tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti» (Concilio Laterano IV, 1215, Definizione contro gli Albigesi e i Catari, Denz 801), (vedasi, in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, i §§ 50-2, pp. 196-213, in cui l’inconciliabile opposizione tra l’insegnamento della dottrina cattolica e quello del Professor Ratzinger è evidenziata anche da plurime altre argomentazioni scritturali e dogmatiche).

Contesto originale.

Il discorso qui è molto complesso. Semplifico per quanto possibile.
Ratzinger comincia con la sua tipica “kenosis” intellettuale, dando voce ai dubbi e alle possibili critiche dei suoi lettori.

Affiora subito un dubbio: chi può, basandosi sulla nostra odierna concezione del mondo, immaginarsi una resurrezione del corpo? Tale resurrezione infatti – così sembra – includerebbe comunque un nuovo cielo e una nuova terra, esigerebbe corpi immortali e non più bisognosi di nutrizione, una condizione completamente mutata della materia. Ora tutto ciò non è forse totalmente assurdo, diametralmente opposto alla nostra idea di materia e alle sue leggi, e quindi incontestabilmente mitologico? (p. 338)

Chi ha confidenza con il suo modo di scrivere avrà già capito che che egli parte da queste domande proprio per portare passo passo il lettore alla conclusione che no, la resurrezione del corpo non è affatto assurda.
Ma bisogna capire che cosa si intende per “corpo”. Si devono distinguere la prospettiva della vita dopo la morte nella concezione greca e nella concezione ebraica. Nella concezione greca l’uomo è un dualismo di corpo e anima come sostanze estranee l’una all’altra, il corpo è la prigione dell’anima, e alla fine il corpo scompare e solo l’anima sopravvive. Invece nella concezione ebraica l’uomo è una unità indivisa, tant’è che

la Scrittura non conosce alcun termine che indichi solo il corpo separato dall’anima, anzi per essa anche il termine ‘anima’ denota l’intero uomo corporeamente esistente. La risuscitazione dei morti (non dei corpi!) di cui parla la Scrittura si riferisce quindi alla salvezza dell’unico e indiviso uomo, non soltanto al destino di una sua metà. (p. 339).

Ratzinger successivamente confronta ed esamina San Paolo (1 Cor 15,50: “la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità”) e San Giovanni (Gv 6, 63: “è lo spirito che vivifica, la carne non giova a nulla”) per spiegare che la resurrezione di cui stiamo parlando non è un evento intra-mondano, ma qualcosa che va oltre la fisica. Ciò che resusciterà non è il corpo dell’uomo così come è adesso, ma l’uomo tutto intero e indiviso, in cui corpo e anima sono tra loro in una relazione nuova ed esistono in uno stato dell’essere completamente trasformato da Dio:

Paolo insegna – ripetiamolo ancora una volta – non la risurrezione dei corpi (Körper), bensì delle persone, e questa non nel ritorno dei ‘corpi di carne’, ossia delle strutture biologiche, che egli indica esplicitamente come impossibile (“il corruttibile non può diventare incorruttibile”) bensì nella diversità specifica della vita della resurrezione, così come si è esemplarmente manifestata nel Signore risorto” (p. 347).

N.B. il testo in rosso è ciò che Radaelli mette nella citazione; tuttavia manca accidentalmente (ops…) la prosecuzione del periodo, l’accenno alla manifestazione del Risorto, che cambia di prospettiva a tutto il resto e invalida ogni interpretazione in senso neocataro.
Ratzinger qui non usa l’espressione “corpo glorioso”, tuttavia mi pare che il suo discorso descriva proprio questo concetto. La resurrezione di cui stiamo parlando non è come quella di Lazzaro, in cui l’anima torna nel corpo e l’uomo continua a vivere allo stesso modo di prima; questa sarebbe una resurrezione “difettosa” (difatti Lazzaro andò poi di nuovo incontro alla morte come chiunque altro); è invece come la resurrezione di Cristo, in cui il corpo è incorruttibile e manifesta proprietà inedite [nota 5]. La morte ha perso il suo pungiglione.
Questo nuovo stato però presuppone una nuova materia, e perciò

occorre pensare a un’ultima complessità in cui il mondo trova il suo Omega e la sua unità. Allora c’è un ultimo nesso tra materia e spirito in cui trova compimento il destino dell’uomo e del mondo, anche se oggi ci risulta impossibile definire il tipo di tale connessione. Allora l’ultimo giorno sarà quello nel quale il destino del singolo uomo si compirà perché ha trovato compimento il destino dell’umanità. (p. 348)


QUINTO ESEMPIO

Oggetto: la filiazione divina di Gesù e il concepimento verginale.

Citazione da Introduzione al cristianesimo:

Il Professor Ratzinger sostiene che «la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano» (Introduzione al cristianesimo, p. 265), infatti, a suo avviso, la figliolanza divina di Gesù «non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio» (Introduzione al cristianesimo, pp. 265-6).

Critica di Radaelli: dopo una lunga e meticolosa citazione dai vangeli che narrano il concepimento verginale (Mt 1,18-26 e Lc 1,26-38), Radaelli deduce che Ratzinger bestemmia:

tutto ciò è impugnato dal Professore Ratzinger, il quale ritiene invece che: primo, «la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano»; secondo, che, a proposito del Vangelo ora visto e di quello di san Luca segnalato nel testo, «la formula della filiazione divina ‘fisica’ di Gesù è quanto mai infelice e ambigua», così accusando la Parola di Dio, e dunque Dio stesso, di essere, “infelice”, una Parola inetta, e, qualificandola “ambigua”, una Parola falsa.

Contesto originale

Tutto il discorso verte sul rifiuto dell’equiparazione del piano metafisico a quello biologico. Ratzinger, manco a dirlo, non nega affatto il concepimento verginale; ciò che nega è la vulgata che il concepimento verginale sia la realizzazione del mito così come era inteso nelle religioni non cristiane, nei racconti pagani. Gesù non è un semidio, “biologicamente figlio” di una divinità alla maniera di un Ercole o un Achille: è qualcosa di radicalmente diverso.

“Gesù non è mezzo Dio e mezzo uomo, ma interamente Dio e interamente uomo. Il suo essere Dio non comporta una sottrazione al suo essere uomo. Questa è stata la strada seguita da Ario e da Apollinare, i grandi eretici dell’antica chiesa. Contro di essi venne energicamente difesa l’intatta integrità della natura umana di Gesù, rifiutando l’assimilazione del racconto biblico al mito pagano del semidio generato dalla divinità. La figliolanza divina di Gesù non poggia sul fatto che Gesù non abbia alcun padre terreno; la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un matrimonio umano. La figliolanza divina di cui parla la fede non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio: Dio è sempre Padre, Figlio e Spirito; il concepimento di Gesù non significa che nasce un nuovo Dio-Figlio, ma che Dio, in quanto Figlio nell’uomo-Gesù, attrae a sé la creatura uomo tanto da essere lui stesso uomo. (p 265-266).

Letta nel suo contesto, la frase “Gesù avrebbe potuto nascere da un normale matrimonio umano” è del tutto coerente con la sana dottrina cattolica: il concepimento verginale non fu “necessario” al fine dell’Incarnazione – nella sua onnipotenza Dio avrebbe potuto decidere di incarnarsi in qualche altro modo miracoloso, e sarebbe stato ugualmente vero Dio e vero uomo – sebbene fosse per varie ragioni “conveniente”, come dice San Tommaso (Summa, III parte, q. 28). Radaelli invece intende la frase come una messa in dubbio dell’effettivo concepimento verginale? Ma questa interpretazione è possibile soltanto strappando la frase dal suo contesto, ovvero operando una ermeneutica profondamente scorretta.
Mi pare inoltre che Radaelli incorra in un errore materiale di lettura, perché egli interpreta la qualificazione di Ratzinger “infelice ed ambigua” come se fosse rivolta al testo evangelico; mentre invece essa ha per obiettivo la cattiva teologia che trae in inganno i semplici. Il testo completo è:

Per quanto concerne la teologia ecclesiale, forse che essa non parla sistematicamente della filiazione divina fisica di Gesù, lasciando così trapelare il suo retroscena mitico? Iniziamo da quest’ultima obiezione. Nno c’è dubbio: la formula della filiazione divina fisica di Gesù è quanto mai infelice ed ambigua; essa dimostra come la teologia, nell’arco di quasi duemila anni, non sia ancora riuscita a liberare il suo linguaggio concettuale dai gusci delle sue origini ellenistiche. L’aggettivo ‘fisico’ è qui inteso nel senso dell’antico concetto di physis, ossia di natura o meglio essenza. Pertanto l’espressione ‘filiazione fisica’ significa che Gesù è da Dio secondo l’essere e non soltanto secondo la coscienza; la parola esprime al contempo l’opposizione all’idea della semplice adozione di Gesù da parte di Dio. In Gesù ha assunto natura umana colui che dall’eternità appartiene “fisicalmente” (realmente, secondo l’essere) alla relazione uni-trina dell’amore divino. (p. 266)

Questa vi sembra una negazione della divinità di Gesù e un’offesa alla Parola di Dio?


Insomma. A me, onestamente, pare che il modus operandi seguito da Radaelli per la sua critica a Ratzinger sia decisamente zoppicante. Non si può prendere da un testo solo quello che supporta la propria tesi, e ignorare il contorno.
Con questo non voglio dire che Ratzinger sia stato perfetto come teologo o come pontefice. Io non idolatro nessun essere umano, neppure il Papa, neppure Benedetto XVI. Errori sono stati sicuramente fatti. Ma questo è un altro discorso.

Infine, vorrei precisa che questo post è stato pensato e scritto prima della grottesca vicenda della lettera di Ratzinger amputata e taroccata da Viganò, il quale è stato (ironia on) pubblicamente rimproverato e giustamente licenziato da Papa Francesco, due azioni che erano necessarie al fine di ridare credibilità alla comunicazione del Vaticano (ironia off).
La grottesca vicenda peraltro evidenzia bene i rischi che si corrono a interpretare un testo prendendone soltanto un pezzettino e “dimenticando accidentalmente” tutto il resto.


Nota 1

Che ci può stare. Si può serenamente discutere degli errori di governo pratico che possono essere stati commessi dai pontefici. Però un errore pratico non implica necessariamente a monte un errore teorico. Discorso complesso. Cfr nota 4.


Nota 2

forse non è peregrino considerare quel che Radaelli scriveva originariamente a conclusione della sintesi del libro:

Questi cinque esempi si ritengono altresì utili a far conoscere la mia analisi al più largo pubblico di fedeli raggiungibile, così da metterli in guardia sulle dottrine insegnate in Introduzione al cristianesimo, e sollecitano nel contempo, come peraltro si può riscontrare già nelle sue ultime pagine, a trovare al più presto, se pur con ogni prudenza, la strada migliore per convincere l’illustre Soggetto a ritenere – almeno – che quel suo libro e le dottrine contenute non siano più proponibili alla Chiesa come sue convinzioni profonde.
A questo fine, chi qui scrive ha scelto di disporre uno sconto del 15% sul prezzo di copertina del proprio lavoro (33 euro invece di 39), così da rendere più accessibile il volume a una fascia più larga di lettori, in tal modo dando la possibilità di aumentare il numero di coloro che si possono prodigare a suggerire, nella più consigliata e prudenziale carità, come avere accesso all’Alto Soggetto, parlargli, persuaderlo a tralasciare un orizzonte dottrinale povero di sante certezze, come il cardinale Dal Poggetto riuscì ad avvicinarsi al letto di Papa Giovanni XXII, a parlargli, a convincerlo, così da raggiungere il santo fine di far cadere ogni pericolo che i cancelli aurei gli restassero sbarrati.

La qual cosa apriva una serie di domande assai interessanti e rivelative della psicologia dell’autore:

  • Cioè, secondo Radaelli, se Ratzinger non ha ancora letto il suo libro a capo chino e animo contrito, è perché il libro costa troppo? Ma che davvero?
  • Cioè, secondo Radaelli, uno sconto del 15% ovvero di 6 euro fa la differenza tra la vita e la morte (dell’anima di Ratzinger) essendo decisivo per la decisione di comprare o non comprare il libro? Ma che davvero?
  • Cioè, secondo Radaelli, Ratzinger non è provvisto neppure di un conoscente / amico / fanboy appartenente al cosiddetto ceto abbiente, per il quale 39 euro sarebbe una spesa tranquillamente sostenibile, e questo costosissimo libro glielo potrebbe perfino regalare? Ma che davvero?
  • Facciamo una colletta?
  • Ma ve lo immaginate mons. Georg Ganswein che in coda alla cassa del discount, dove il libro di Radaelli sta esposto sugli scaffali accanto agli Harmony per casalinghe disperate, apre il borsellino e soppesa gli euro operando un sano discernimento sullo stato delle finanze della Città del Vaticano e sulla capienza del fondo spese “Papa Emerito vitto alloggio eventuali”?
  • E infine e soprattutto fatemi capire, Radaelli, dopo aver scritto pubblicato e pubblicizzato questo libro epocale in cui finalmente svela al mondo la terribile verità sulla pluridecennale eresia di Ratzinger, non gliene manda neppure una copia omaggio? Ma che davvero?

Comunque alla fine Radaelli, o un suo consigliere provvisto di senno, si deve essere accorto che questo paragrafo era un po’ troppo diciamo naive, e lo ha rimaneggiato cancellando la questione dello sconto del 15%.

Tuttavia, siccome quel tizio sta nei dettagli, la conclusione originale dell’articolo è ancora leggibile sul blog Apostati si diventa dove era stata immediatamente rilanciato:

https://apostatisidiventa.blogspot.it/2018/01/il-bianco-e-il-nero.html?m=1

Professor Radaelli, ove mai le capitasse di leggere questa mia, mi perdoni se non compro il suo libro. Soffro di poraccitudine e per me il 15% di sconto è ancora troppo poco. Ma accetterei con gratitudine una copia omaggio, se ne avanza.


Nota 3

Debbo onestamente ammettere che questa non è una difesa perfetta di Ratzinger, perché la stessa difesa si potrebbe tentare per qualunque modernista che sappia padroneggiare la tecnica del bustrofedismo – chi ha letto Romano Amerio capisce subito di che stiamo parlando.
Bustrofedico è quell’antico stile di scrittura su tavolette in cui nella prima riga si scrive da sinistra a destra e nella seconda riga da destra a sinistra e così via, come il serpentello di Snake. Romano Amerio (per inciso: di cui Radaelli è devoto discepolo) usa l’aggettivo per descrivere la tattica modernista di alternare nello stesso discorso concetti cattolici e concetti non cattolici, in modo da sedare i conservatori (“tranquilli, non cambia niente, l’ha detto chiaramente!”) ed eccitare gli innovatori (“forza ragazzi, sta cambiando tutto, l’ha detto chiaramente!”).
Esempio del tutto teorico e senza alcun nesso con la presente realtà ecclesiale: un testo dove in una pagina si afferma che il matrimonio è indissolubile, e in un’altra pagina si afferma che si può stare in grazia di Dio pur vivendo more uxorio, è un testo bustrofedico. Le contraddittorie coesistono.
Altro esempio del tutto teorico e senza alcun nesso con la presente realtà ecclesiale: prima si dice una cosa scioccante, la quale eccita i modernisti, e poi fa una smentita debole e tardiva, la quale tranquillizza i conservatori. I primi si danno di gomito e ammiccano, essendo per loro ovvio che la cosa scioccante è vera e la smentita è falsa. I secondi tirano larghi sospiri di sollievo e si chetano, essendo per loro ovvio che la cosa scioccante è falsa e la smentita è vera. Gli uni e gli altri applaudono il parlante e lo considerano “dalla nostra parte”.

Eppure Ratzinger non è bustrofedico. Infatti nel testo bustrofedico la contraddizione resta irrisolta, ed è proprio questo che consente di offrire il testo agli applausi delle platee contrapposte. Invece in un testo tipico di Ratzinger non vi è una contraddizione ma semmai una articolazione concettuale interna, per cui egli si immedesima nella testa del suo discente e ne scioglie i dubbi uno ad uno fino ad arrivare a ciò che vuole spiegare come docente. Insomma c’è una dialettica ma non c’è una contraddizione.
La prova del nove sta nel fatto che il parlante bustrofedico piace generalmente a molta gente, dall’una e dall’altra sponda; il bustrofedismo serve proprio a questo. Ratzinger invece è sempre stato la bestia nera dei modernisti.


Nota 4

Azzardo una teoria a partire da una mia impressione empirica.
Il tradizionalismo cattolico hardcore soffre di un “eccesso di monismo” ovvero ha difficoltà a separare piani concettuali che sono collegati ma distinti. Per esempio, gli errori pratici di governo dei pontefici postconciliari (cfr nota 1) vengono necessariamente letti come la cartina di tornasole di un loro errore teorico nell’impostazione teologica.
L’errore di identificare teoria e prassi è speculare, e forse nasce proprio come reazione abnorme, all’errore modernista di scollegare teoria e prassi come fossero variabili indipendenti, per esempio ammettendo una pastorale in contraddizione con la dottrina.
Discorso complesso, da riallacciare.


Nota 5

Avevo dedicato il primo post di questo singhiozzante blog precisamente all’argomento del corpo glorioso e delle sue facoltà così come descritte dal Catechismo di San Pio X (impassibilità, chiarezza, agilità, sottigliezza).

51 pensieri su “Analisi dell’eresia ratzingeriana alla luce dell’ateismo tomista

    1. In teoria sì 😉

      per noi moderni è davvero difficile capire questo punto perché viviamo in un contesto completamente ostile a ogni “conoscenza naturale” di Dio. È proprio quello che dice B16 nel libro L’Europa delle culture.

      A nostro sfavore pesa anche l’incapacità di distinguere i due piani – la Dei Filius parla di “duplice ordine di cognizioni” – di ciò che è dimostrabile e ciò che è credibile. Tendiamo a fare tutto un blocco unico.

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  1. GLG

    Capito quasi per caso su questo blog/link . Non sono stato capace di trovarvi un collegamento a una sezione del tipo “Chi siamo. Quale è il nostro obbiettivo” ne’ una spiegazione della scelta del nome “la falsa morte”. Potete aiutarmi ? Cordialmente, GLG

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      1. GLG

        Dear Sir Cliges,
        Grazie .
        Benevolmente invidio la raggiunta vita idilliaca ricca di interessi intellettuali non senza la bella e dolce castellana Fenice a cui vanno i miei doverosi omaggi .
        Best regards .
        GLG
        P.S. A volte le innamorate castellane sono un poco gelose degli altri nostri interessi, anche solo quelli spirituali : attenzione alla pozione magica 🙂

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      2. GLG - Gian Gremo

        Dear Sir Cligès,
        sono il suo 17° “follower” GLG, (perciò Lei conosce la mia identità e il mio indirizzo email, ma non viceversa), tanto maldestro nell’aggirarsi nel blog da non ricordarsi più nemmeno di come aveva fatto prima ad inserire dei commenti perciò Le chiedo venia se, per mettermi in contatto con Lei, non sono stato capace di far di meglio che collegarmi a questa sua risposta .
        Ad inizio aprile mi ero interessato alla sua “Analisi dell’eresia ratzingeriana alla luce dell’ateismo tomista” perché conosco e stimo il Prof. Enrico Maria Radaelli e posso dirLe – forse la cosa La sorprenderà – che costui ha apprezzato molto l’impegno con cui Lei ha esaminato lo scritto e lo ha commentato, nonostante Lei gli abbia lanciato qua e là qualche punzecchiatura ironica/satirica non tanto caritatevole .
        Il mio amico L’ha presa sul serio e si è messo al lavoro per risponderLe, rispondere adeguatamente e puntualmente, allo scopo non solo di rettificare le analisi sfavorevoli (al suo pensiero e alla sua persona addirittura accusata di falsificazione dei testi di Ratzinger ), ma soprattutto di rendere anche Lei più consapevole del tipo di crisi che sta attraversando la Chiesa.

        Così è nato un nuovo saggio, più generale, che certo La interesserà (e che fa ampio riferimento alla sua analisi di cui riporta il collegamento internet) .
        In queste materie raramente si cambia di colpo il giudizio ma uno scambio serio di opinioni pur diverse (ma nell’ambito del cattolicesimo) è utile ad entrambe le parti, perciò un suo commento sarà ben accetto .

        Io, nel mio piccolo, osservo questa “conversation” (come dice il mio programma di posta elettronica) dall’esterno e, volendo in qualche modo contribuire anch’io, mi farebbe piacere inviarLe in omaggio, il libro “Al cuore di Ratzinger, al cuore del mondo” dato che, anche nel suo nuovo saggio (di cui Le allegherò copia), il Prof. Radaelli non può far a meno di riferirvisi spesso per numerosi necessari ulteriori “approfondimenti di approfondimenti”.
        La pregherei quindi di accettare e di mandarmi per e-mail un recapito a sua scelta e comodo a cui spedire il tutto .

         Sincerely ,
                                                                           GLG
        

        P.S. Con riferimento alla sua Nota 2
        [… pluridecennale eresia di Ratzinger, non gliene manda neppure una copia omaggio ? …].
        Sappia che, prima di diffondere il libro, il Prof. Radaelli ha provveduto a inviarne la copia n. 1 a Ratzinger e la copia n. 2 al segretario Ganswein, con adeguate lettere di accompagnamento, ricevute il 21 Novembre 2017 .
        Dal segretario ha ricevuta risposta personale e riservata .
        Non mi pare sbagliato non averlo reso noto nella “Nota a margine” (provocando la sua ironia) .
        Ne parlo solo perché, data la sua illazione sul blog, non sembri che a Ratzinger abbia mancato di rispetto, o, peggio ancora, di carità .

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      3. Gentile GLG,

        scusi il ritardo con cui rispondo.

        Premetto che non ho desiderio di litigare con il prof. Radaelli, che considero un fratello nella fede (ma non un “fratello maggiore”, visto che questi generalmente nella Bibbia non fanno gran bella figura, tant’è che secondo me Giovanni Paolo II faceva anche un po’ di ironia…); per quante divergenze io e lui si possa avere intorno ai “mezzi”, mi pare che il fine desiderato sia il medesimo: la depurazione della Chiesa dalla gnosi modernista.

        È vero che non ho risparmiato punzecchiature ironiche. Talora faccio uso del “castigat ridendo”. Ma le mie punzecchiature non sono non-caritatevoli: io credo nella funzione soteriologica della pernacchia, che a volte è più efficace dei lunghi ragionamenti. Siamo umani e il nostro ego tende sempre a gonfiarsi troppo, così abbiamo sempre bisogno che di tanto in tanto ci sia qualcuno che questo ego enfio ce lo punzecchi un poco, ricordandoci i nostri limiti e magari anche facendoci ridere di noi stessi, così da salvarci dalla “superbia che gonfia”. Dopotutto anche la correzione è carità, mentre abbiamo visto quanti danni ha fatto una certa concezione della “medicina della misericordia”. Ovviamente, così come non mi faccio problemi a correggere e punzecchiare, sono ben disposto a ricevere il medesimo trattamento. Anche io detengo un ego ingombrante a cui talora fa bene una puntura.

        Se quanto ho scritto sarà utile all’Autore per migliorare i suoi giudizi e avvicinarsi ad una maggiore percezione della verità, nonché avvicinarvi anche i suoi molti lettori che lo stimano quale maestro, non posso che felicitarmene. Se lei è così cortese da inviarmi il libro “Al cuore di Ratzinger”, sarò lieto di leggerlo per intero e darne un giudizio il più possibile equo.

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  2. Matteo

    “Esempio del tutto teorico e senza alcun nesso con la presente realtà ecclesiale: un testo dove in una pagina si afferma che il matrimonio è indissolubile, e in un’altra pagina si afferma che si può stare in grazia di Dio pur vivendo more uxorio, è un testo bustrofedico. Le contraddittorie coesistono.”

    “la questione dell’ammissione ai sacramenti riguarda il giudizio della situazione di vita oggettiva della persona e non il giudizio che questa persona si trova in stato di peccato mortale. Infatti soggettivamente POTREBBE NON ESSERE PIENAMENTE IMPUTABILE** , o NON ESSERLO PER NULLA.”

    E

    “La questione 3 dei “dubia” vorrebbe così chiarire se, anche dopo “Amoris laetitia”, è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, NON È CERTO CHE ESSI SIANO SOGGETTIVAMENTE IMPUTABILI per la loro abituale trasgressione”.

    Preso da qui http://www.scuolaecclesiamater.org/2016/11/la-mancata-risposta-ai-dubia-sullamoris.html?m=1

    Chiaramente i cardinali non negano che chi vive more uxorio possa essere in Grazia di Dio, solo che essendo questa una cosa insondabile, perché solo Dio legge il cuore dell’uomo e sa quando e dove ci sono attenuanti che riducono l’imputabilità evitando il peccato mortale, ritengono che sia prudente non farli accedere ai Sacramenti.

    Il che è tutto un altro discorso.

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    1. Matteo

      Ho scritto questo post perché la tesi “i divorziati risposati che non vivono come fratello e sorella non possono accedere alla Comunione perché è impossibile che siano in Grazia” è argomento diffuso quanto falso.

      Il motivo per cui è bene che non accedano è un altro, come ho detto.

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      1. Matteo

        L’ho già letto, ma comunque mi premeva mostrare che la supposta “contraddittoria” qui non c’è, e non c’è per bocca stessa di quei cardinali che hanno scritto i Dubia.

        I Dubia non sono stati scritti perché i divorziati risposati avrebbero una specie di “lebbra” spirituale che rende loro impossibile essere in Grazia di Dio sempre e comunque.

        Credo che le loro parole, che ho citato testualmente, siano chiare.

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      2. Onestamente continuo ad avere dubbi al riguardo. Ma più che altro il problema non riguarda tanto i d.r. bensì la Chiesa che allora non si capisce che ci sta a fare.
        Se un d.r. non ha consapevolezza del suo peccato, allora vive in Grazia di Dio? Ma la Chiesa allora gli deve insegnare la verità e dirgli che è in peccato – facendogli perdere la grazia – o lo deve mantenere nell’ignoranza – abdicando al proprio ruolo di maestra e consentendo la perpetuazione di un comportamento oggettivamente cattivo ergo offesa a Dio?

        Idem se il problema è il deliberato consenso. Io Chiesa ti devo aiutare a liberarti dai vincoli che ti costringono a peccare. Se no sono complice.

        Sono problemi insomma che non riguardano solo la salvezza del singolo peccatore. Il problema è a monte: ma la Chiesa a che serve, allora?

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  3. Bene, ho letto la Dei Filius. Fa riferimento alla Lettera ai Romani, Rm 1,20.
    Dove si parla di conoscere Dio per come è, attraverso la contemplazione delle cose create. Ovvero, non un Dio astratto dimostrato con una serie di deduzioni, al contrario l’idea è quella di capire che Dio non è un essere immoto impassibile e distante, ma il suo “stile” si vede nelle cose create.
    Anche la Dei Filius parla di “conosciuto con certezza”, e lascia perdere la certezza che è parte dello stile autoritativo assolutistico, ma si parla di conoscere, non di dimostrare.

    Estremizzando, potremmo dire che l’affermazione “Dio c’è per forza, è dimostrato matematicamente, ma di lui sapremmo poco e nulla, a meno di seguire la Rivelazione” è falsa come ho sempre sostenuto, ma qui si afferma invece “Dio, se c’è, ha le caratteristiche di amore, ordine, sapienza e generosità che ci portano sulla strada del riconoscerlo come quello cristiano. Poi che Dio ci sia ci pare evidente e non ne troveremmo una improvvisa pezza d’appoggio di dimostrazione in S.Anselmo e compagnia bella, perlomeno in una formulazione dogmatica: se avessimo sposato una tesi filosofica come se fosse parte della Fede, sminuiremmo la Rivelazione. Rischiando di macchiarne la credibilità se la dimostrazione del filosofo si rivelasse fallata.
    Voi fedeli tanto dovete comunque credere senza permettervi dubbi a quello che vi diciamo noi, dunque son discorsi accademici. Dio lo contemplate nel creato, così vi si rivela già prima del Vangelo.”

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    1. Più o meno. La Dei Filius dogmatizza la conoscibilità razionale di Dio ma non “cristallizza” questa o quella specifica argomentazione filosofica. È ben possibile che l’argomento filosofico “definitivo” pro Dio sia ancora da essere formulato.

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      1. eh ma se così fosse si dovrebbe credere per fede ad una alternativa al credere per fede, in nome di una prova provata che ancora non esiste! Non mi quadra, anche perché è concettualmente, per costruzione, impossibile trarre conclusioni certe su qualcosa che per definizione è oltre tutto ciò che puoi usare come riferimento per la tua conoscenza.

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  4. Un momento. Dio in sé è oltre “tutto ciò che puoi usare come riferimento per la tua conoscenza”. Ma le sue opere no. Vedendo direttamente il creato si può indirettamente risalire al creatore.

    Domanda: tutti sono in grado di risalire questo percorso? Risposta: no. Anche noi in prima persona abbiamo difficoltà. Gli argomenti filosofici non sono evidenti e inoppugnabili come una operazione algebrica. È per questo San Tommaso scrive

    «[28312] Iª q. 2 a. 2 ad 1
    SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L’esistenza di Dio ed altre verità che riguardo a Dio si possono conoscere con la ragione naturale, non sono, al dire di S. Paolo, articoli di fede, ma preliminari agli articoli di fede: difatti la fede presuppone la cognizione naturale, come la grazia presuppone la natura, come (in generale) la perfezione presuppone il perfettibile. Però nulla impedisce che una cosa, la quale è di suo oggetto di dimostrazione e di scienza, sia accettata come oggetto di fede da chi non arriva a capirne la dimostrazione.»

    Credere per fede alla dimostrabilità razionale di qualcosa non è così paradossale come sembra. Per esempio io credo per fede che qualcun altro sappia dimostrare, con carta e penna, che 3,14… è un numero irrazionale. Io non so dimostrarlo ma mi fido di chi mi dice che in sé è dimostrabile.

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  5. Ti suggerisco la lettura o rilettura del libro di B16 L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture. Lì Ratzinger affronta anche questo problema. Per noi moderni è assai difficile liberarci dell’abito mentale di scetticismo che abbiamo assorbito dalla società. Siamo ormai precondizionati – anche tantissimi cattolici! – a pensare che Dio sia solo oggetto di fede e non anche di ragione.

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  6. Aspé, ecco il problema. Credi che esistano argomenti filosofici.

    A seconda delle premesse abbiamo argomentazioni scientifiche oppure teologiche, ma non esiste un terzo campo in cui si possa “porsi al di sopra” o in mezzo.
    Argomentazioni di tipo logico-matematico o epistemologico, ad esempio, sono comunque di carattere scientifico.
    La metafisica senza teologia è nulla.

    E’ proprio un problema di approccio: pretendere di arrivare a conclusioni valide per l’Universo, e magari per il Metauniverso, partendo solo da ciò che sta nella propria testa.
    Sono trucchetti, magari abbastanza elaborati da celare dove si nasconda la magagna.

    La tua citazione di Tommaso, che comunque non è da prendere come fonte autoritativa della fede ma solo come dottore che a volte può sbagliare, non afferma nulla sul conoscere Dio con la ragione, a parte il presupporla

    Io non credo per fede che si possano trovare le cifre di pigreco, né credo per fede che si possa mandare una sonda su Marte o che esista la città di Kuala Lumpur, di cui non ho alcuna esperienza diretta.
    Credo siano cose vere perché c’è tutta una euristica che applico sulla credibilità delle fonti. Di cui fa parte la premessa che sono all’interno di una realtà che conosco.
    Al contrario non potrei credere che un tizio si inventa un modo di dimostrare Dio partendo da suoi pensieri, perché è come pretendere che tirandosi per i capelli non solo si tiri fuori dal secchio, ma possa entrare in orbita.

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  7. Ma Dio non si “dimostra” partendo dai pensieri bensì dal reale. Dall’osservazione empirica del mondo sensibile, che non è sufficiente da solo a spiegare né la propria esistenza né la propria razionalità.
    Prima del pensare c’è il vedere. Questo è l’impianto delle 5 vie di Tommaso. Tutto ciò che penso, è nella mia testa perché ci è entrato attraverso i sensi. Prima di essere un analitico, Tommaso è un empirico.

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  8. Allora questo è un discorso emotivo-esperienziale, e ci può stare, ma non è una dimostrazione.
    L’unica affermazione da fare, ma varrebbe allo stesso modo qualunque fosse in pratica l’osservabile dell’Universo e le sue caratteristiche, è che se esiste ha una causa.
    Vero?

    Falso. A livello profondo bisogna non dare per scontato che ci debba essere una causa, perché potrebbe non esserci. Si paga però un prezzo altissimo se si nega la causa: nulla ha un senso o un valore.

    Per questo l’ateismo è forse persino più devastante e mostruoso, se capito come lo intendo io, piuttosto che affermato con baldanza contro “prove” dell’esistenza di Dio intrinsecamente non convincenti.

    Ci vuole una Causa Prima, sì. Ma non per ragioni logico-razionali. Deve esserci perché senza nulla ha senso.
    Quindi posso dire che si dimostra l’esistenza di Dio se si parte dalla premessa che il rapporto causa-effetto, la nostra capacità di spiegare il concatenarsi degli eventi, ha un valore primitivo, invece di essere solamente il frutto illusorio del nostro essere computer immersi nel tempo, che rielaborano oggetti AB come se fossero A->B.

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    1. Aleudin, la ragione consente di arrivare con certezza ad alcune caratteristiche di Dio: l’esistenza, la trascendenza, l’unicità.

      Certo si può dire che questo è un quadro ancora insufficiente. Dio esiste, ma potrebbe anche essere -absit iniuria – un grandissimo bastardo. Un sadico megagalattico. Crea il mondo e si diverte a guardarci soffrire. E che je voi dì? È Dio.

      Per questo, la ragione non è sufficiente.
      Però è necessaria.

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      1. … poi c’è la rivelazione.

        Anche se secondo me un dio sadico non può essere ” l’essere assoluto ” perché essere sadici è una deficienza del bene per cui non sarebbe un dio infinito ma una creatura finita che rimanda a un essere a lui superiore.

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  9. Scusa alegenoa non capisco cosa intendi con “potrebbe non esserci una causa”.

    Il fatto che l’universo sia una serie di concatenazioni causali “se A allora B” è pre-assiomatico. Se si nega questo, si nega l’essenza della razionalità. Se si nega questo allora non solo non si può dimostrare Dio, ma non si può dimostrare assolutamente nulla.
    È una visione irrazionalista con la quale il cristianesimo non ha alcun punto di contatto.

    Lo so. Siamo tutti influenzati da questo modo di pensare. Ci siamo immersi dentro. È maledettamente difficile emanciparsene. Ma è necessario.

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  10. Forse può interessare questo libro che ho cominciato a leggere

    https://strangenotions.com/ama-dr-feser-answers/

    Five Proofs of the Existence of Godprovides a detailed, updated exposition and defense of five of the historically most important (but in recent years largely neglected) philosophical proofs of God’s existence: the Aristotelian proof, the Neo-Platonic proof, the Augustinian proof, the Thomistic proof, and the Rationalist proof.
     
    This book also offers a detailed treatment of each of the key divine attributes—unity, simplicity, eternity, omnipotence, omniscience, perfect goodness, and so forth—showing that they must be possessed by the God whose existence is demonstrated by the proofs. Finally, it answers at length all of the objections that have been leveled against these proofs.
     
    This book offers as ambitious and complete a defense of traditional natural theology as is currently in print. Its aim is to vindicate the view of the greatest philosophers of the past—thinkers like Aristotle, Plotinus, Augustine, Aquinas, Leibniz, and many others—that the existence of God can be established with certainty by way of purely rational arguments. It thereby serves as a refutation both of atheism and of the fideism which gives aid and comfort to atheism

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  11. Non mi sono spiegato. Il rapporto causa-effetto descrive ad esempio il fatto che se metto del sale nell’acqua quello si scioglie.
    Però ciò che per me è evento che ha una spiegazione ben precisa, seguendo una legge di natura, potrebbe essere invece descritto come la forma di un oggetto nello spazio-tempo quadridimensionale (o magari n-dimensionale).
    Quello che, per come modellizziamo nella nostra mente, essendo vincolati dalla freccia del tempo, pare una sequenza prevedibile, in realtà potrebbe essere descritto come una forma.
    Immagina di fare una scansione con un laser della superficie di un pavimento piastrellato. Osservi delle regolarità, dopo un po’ sai di poterti aspettare la fuga tra una piastrella e l’altra.

    E’ la nostra mente che si aspetta sempre di trovare la risposta alla domanda: “Perché”?
    I più grandi scienziati, affascinati dalla domanda, hanno trovato delle risposte, parziali, che erano in realtà dei “Come”. Ovviamente dopo ogni come nascono nuove domande del perché, andando sempre più alla radice.

    ” Perché l’oro non si arrugginisce?” A cui si risponde “Ecco come sono fatti gli elementi della tavola periodica e come si creano i legami chimici…”

    Visto che noi pretendiamo che tutto abbia una causa solo grazie al modo in cui elaboriamo l’osservato all’interno dell’universo che conosciamo, nulla vieta, per quel che ne sappiamo, che esista solo un grande “Come” che descrive ciò che accade dentro, ma l’Universo (magari anche uno più grande del nostro che lo contiene, non cambia il problema) in quanto tale non abbia un perché, esista e basta.

    Mi par di capire che tu avessi frainteso: come se io intendessi esprimere il punto di vista di chi fa leva sull’ignoranza per negare l’esistenza di rapporti di causa ed effetto. Invece esprimo il dubbio che, fermo restando che le cause che correttamente osserviamo ci sono eccome, questo è solo il nostro modo limitato di descriverle, ma in realtà non abbiamo prove che il concetto di “causa” sia estensibile oltre l’Universo.

    Però, appunto, se si vuole credere in questo universo privo di senso, che è così e basta, si deve riconoscere che tutto è disperante e noi siamo macchine inutili, prive di volontà, prive di valore. Perché nulla ha valore.

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    1. A me pare che tu stai ponendo come alternative due descrizioni, due modellizzazioni, che invece sono complementari.

      Noi SIAMO davvero una forma nello spazio-tempo. Ricordo vagamente che questa era la visione finale del narratore alla fine della Ricerca del Tempo Perduto di Proust, che guardava gli ospiti di una festa immersi nelle loro banalità e vedeva dei “vermi” allungati nel tempo. Quello che tu descrivi è come un osservatore esterno vede dall’eternità una sequenza di avvenimenti concatenati nel tempo.

      Ma l’essere una forma nell’eternità va di pari passo con il divenire causale nel tempo.

      Tu dici: ma se usciamo fuori dall’universo, non siamo sicuri che la causalità valga ancora.

      A me sembra logico ritenere che l’universo in sé (considerato ai nostri fini come un tutt’uno), proprio perché soggetto al proprio interno alla legge di causalità, debba esserlo anche all’esterno. Insomma l’universo deve avere una causa.
      Semmai è questo altro ente, esterno all’universo, che può essere sciolto dalla causalità. E anzi deve esserlo, perché non può non esserci un inizio (questa è una delle 5 vie di Tommaso).

      Se ricordo bene, ho letto in un libro di Caffarra (che Dio lo abbia in gloria) l’esempio del lampadario, che è appeso a una catena, ma la catena deve pur avere un soffitto a cui reggersi.

      Insomma tu dici che non è certo che il concetto di causa sia estensibile oltre l’universo.
      Io dico che è certamente estensibile ancora “un passo” oltre, mentre non vi è certezza “dal secondo passo” in poi, e viceversa è certo che a un certo punto la causalità finisce. A quel punto vi è solo la Causa Non Causata.

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  12. Ho ben presente che la visione in 4D non esclude il senso della nostra, dove sulla dimensione tempo si ragiona in termini di causa ed effetto.
    Sto però dicendo che la nostra descrizione è corretta se applicata al nostro ambito, ma non esiste ragione di estenderla.

    L’esempio del lampadario presuppone una forza di gravità. Un lampadario nel vuoto non ha bisogno di catena, sta dove sta.

    “A me sembra logico ritenere che l’universo in sé (considerato ai nostri fini come un tutt’uno), proprio perché soggetto al proprio interno alla legge di causalità, debba esserlo anche all’esterno.” Eh, ti sembra, ma non hai una motivazione per sostenerlo.

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  13. Gli esempi sono sempre cose da starci attenti, però nell’esempio del lampadario effettivamente una “forza di gravità” esiste ed è il principio di non contraddizione, che è il cuore della razionalità stessa.

    Questo universo ha bisogno di una causa esterna, altrimenti non esisterebbe nel modo in cui lo vediamo esistere: ordinato, pieno di nessi causa-effetto, ma limitato.

    Non si può negare la causa prima senza contraddire le evidenze dei sensi. Si può negare Dio solo se si nega il principio di non contraddizione, ma allora si nega la ragione stessa. Allora a quel punto non si può letteralmente ragionare su nulla.

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    1. E dove starebbe la contraddizione?
      Il nostro universo può essere descritto come ordinato ma anche come disordinato.

      Per il principio antropico noi non possiamo che esistere all’interno di un universo con certe caratteristiche, favorevole all’emergere di isole di ordine che chiamiamo vita e vita intelligente, altrimenti non saremmo qui ad osservarlo.
      Ma nulla vieta che ci sia una molteplicità od infinità di universi, fatti un po’ in tutti i modi. Quindi l’Universo più grande, di cui il nostro sarebbe una minuscola porzione particolare, non ha alcuna caratteristica definita, tranne la varietà.
      I nessi causa-effetto, per quanto detto prima, sono in realtà una nostra illusione di senso, che proietta semplicemente una nostra interpretazione del collegamento tra elementi, che non è necessaria fuori da qui.
      Questo modello di universo senza causa e senza senso è orribile, ma non è contraddittorio.

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  14. Ah, se tiri in ballo il multiverso, apri una serie di porte… molto interessanti. Io lo reputo possibile. Anche in prospettiva cristiana. Ho qualche ipotesi.

    Il nostro universo è ordinato. È questa la cosa più stupefacente per una mente davvero scettica. Non tanto il fatto che esista, che ci sia qualcosa invece del nulla; il fatto che l’esistenza sia organizzata secondo leggi ben precise. Esiste una razionalità immanente. Questa razionalità implica la persistenza del principio di causa ed effetto.

    Queste leggi potrebbero anche, per ipotesi, essere diverse. Ma sarebbero ancora leggi. Esempio. Hai notato che la legge di gravità è solo attrattiva, mentre le altre leggi fondamentali (elettromagnetismo e nucleare) sono anche repulsive? Perché? Non lo so. Proviamo a immaginare che da qualche parte esista un universo dove la gravità è anche repulsiva. Ok. Ma sarebbe ancora una legge.
    In questo universo la velocità della luce è costante. Potrebbe essere diversa in un altro mondo? Forse. Potrebbe anche essere variabile. Ma sarebbe comunque scrivibile in un’equazione.
    Io contesto il principio antropico nella versione in cui dice “l’universo è così perché solo così poteva nascere la vita”. E che ne sappiamo noi? Che presunzione! Possono esistere forme di vita del tutto diverse, che non hanno neppure bisogno della forza di gravità. Ma sarebbero sempre forme di vita organizzate secondo leggi fisiche.

    Tu ipotizzi un multiverso con una varietà di universi e di leggi fisiche. Ok. Ci sto. Ma sarà sempre una varietà ordinata.
    Il fatto che questo universo è razionale implica che lo sia anche il “livello superiore”. Se c’è ordine, non può venire dal caos.

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  15. Ma l’universo non è razionale, razionale è la spiegazione. Cioè si tratta di un modello descrittivo di osservate regolarità. Quindi, quali che siano le “leggi” di natura di un particolare universo, non sono che pattern riconoscibili.
    Regolarità, ordine parziale, chiamalo come vuoi. Quello che conta è che potrebbero esistere infiniti universi che non ne hanno, e quindi lì non è possibile che si formino strutture complesse, tantomeno esseri intelligenti che osservano e spiegano. Ecco il principio antropico.

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    1. Non potrebbe darsi spiegazione razionale “funzionante” se non ci fosse una razionalità già insita in ciò che è spiegato.
      È proprio come dice B16 nel discorso citato nel post: la cosa “straordinaria” è la corrispondenza tra razionalità soggettiva nell’uomo e razionalità oggettiva nell’universo.

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  16. Ribadisco: la razionalità non è che descrizione di regolarità. La regolarità del nostro universo potrebbe essere spiegata con l’esistenza di innumerevoli o infiniti universi, alcuni dei quali regolari e quindi atti alla formazione di esseri come noi.

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  17. Celia

    Spassosissima quella sull’abigeato 😉
    Ma pure il binomio benefattore / alto soggetto non scherza.

    Al di là del merito (l’inadeguatezza di Radaelli è palese anche senza il tuo pur prezioso commento, e poi sai che sono un’affezionata ratzingeriana), trovo magnifica nella sua concisione e nel suo apparente ermetismo la frase “Chi sono io per NON giudicare?”.
    Sappi che è già merce rubata 😉

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  18. Mi rammarico, da ratzingeriano, di essere arrivato in ritardo grave a leggere questo articolo.
    Bello, interessante, scritto bene!
    Però su tutto svetta questa vera perla di saggezza:
    Tuttavia, in quanto depositario di un cervello affidatomi dalla Provvidenza, chi sono io per rifiutarmi di farne uso? Chi sono io per non giudicare?

    Grande Sircliges!

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  19. A proposito di personaggi il cui pensiero viene distorto tramite citazioni parziali, stavo pensando a tutto quello che è stato detto su Madre Teresa di Calcutta e la sua crisi di fede, e che è stato ribadito in vari articoli pochi anni fa in occasione della sua canonizzazione. È un esempio calzante?
    Tra le tante accuse assurde volte a dimostrare la sua non-santità, molte erano ipocrite, ma ce ne era una addirittura paradossale: Madre Teresa non può essere una santa, perchè su molte questioni era un’estremista cattolica. Ohibò, che strana motivazione per non essere accettati come santo cattolico.

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  20. Ciao zimisce, da che parte venivano queste accuse? Da non cattolici, da “cattolici modernisti” o da “cattolici tradizionalisti”? Ricordo vagamente ma non rammento i dettagli

    (Uso le virgolette perché queste parole sono da prendere con le pinze)

    che una persona santa abbia una crisi di fede è comprensibile: Satana si accanisce su chi più lo combatte.

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    1. Assolutamente da parte non cattolica direi. Al tempo, per esempio fui impressionato dalla presuntusità di questo articolo di una giovane indiana studente di giornalismo a Cambridge (ovviamente lo trovai perché era ampianente condiviso sui social, quindi forse la giornalista ha centrato il suo obiettivo).
      https://m.huffpost.com/us/entry/9470988

      Be’, se c’è almeno un personaggio che non divide i cattolici tra loro, quello è Madre Teresa.

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      1. Oh, non sottovalutare la litigiosità dei cattolici. Siamo peggio dei comunisti. Riusciamo spesso ad anatemizzarci tra di noi per vere fesserie, sprecando tempo ed energie invece di fare fronte comune contro il Nemico.

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  21. @ Ubi Humilitas
    “Sbaglio a riconoscere lo “zampino” di un vecchio “lupo” dei blog.”

    Wow, non ci avevo per nulla pensato ma ora che me lo fai notare…

    Ma allora la bella Fenice andrebbe ribattezzata “Fenicyette” :))

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  22. Pingback: Una piccola correzione filiale – La falsa morte

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