Perchè no

Ho esitato parecchio prima di scrivere e pubblicare quanto segue. È un argomento incandescente. Ma ho deciso di dire apertamente quello che penso, e se dovrò perdere delle amicizie per questo, pazienza.

Provo a spiegare, nel modo più semplice e completo possibile, perché non si può cambiare quello che dice la Chiesa sulla Comunione ai “divorziati risposati”. Ho individuato fondamentalmente cinque motivi.

1) Aspetto oggettivo. Paragrafo 1650 del catechismo. La situazione è oggettivamente contraria alla parola di Cristo.
2) Aspetto soggettivo. Non è mai possibile invocare la mancanza di piena avvertenza.
3) Aspetto soggettivo. È estremamente problematico invocare la mancanza di deliberato consenso.
4) Aspetto intersoggettivo. Vedendo i “divorziati risposati” che si accostano alla comunione, l’uomo comune è spinto a pensare che di fatto la Chiesa accetta il divorzio. La Chiesa non può diseducare.
5) Il Papa non ha mai dichiarato ufficialmente che si può dare la Comunione ai “divorziati risposati”. In realtà, proprio il suo comportamento complessivo è un argomento “a contrario” che mi convince definitivamente che non si può.
Conclusione. La Chiesa non può contraddirsi.

PRIMO MOTIVO.

Paragrafo 1650 del catechismo promulgato da San Giovanni Paolo II nel 1992:

«Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (« Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio »: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che OGGETTIVAMENTE contrasta con la Legge di Dio. PERCIÒ essi NON POSSONO accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.»

La frase “perciò non possono accedere alla Comunione” è nettissima. Non lascia spazio a deroghe. La Chiesa non potrà mai riconoscere la validità di una nuova unione, per fedeltà alla parola di Cristo. La questione non riguarda solo poche persone dal matrimonio sfortunato, riguarda tutti i cattolici, perché è in gioco la fedeltà della Chiesa. Il divieto di accedere alla comunione non è diritto ecclesiastico che può essere modificato, ma deriva logicamente (“perciò”) dalla contraddizione oggettiva con l’indissolubilità del matrimonio, che è sia diritto divino rivelato e sia diritto naturale.

PRIMA OBIEZIONE. Non si può interpretare da solo il 1650, perché il catechismo va letto tutto insieme. I requisiti del peccato mortale sono la materia grave, la piena avvertenza e il deliberato consenso; se manca uno di questi tre non c’è peccato mortale. Se il divorziato risposato non è in peccato mortale, per mancanza di piena avvertenza o deliberato consenso, si può accostare alla Comunione.
CONFUTAZIONE. Non è che “prima” leggiamo il 1650 e “dopo” vediamo se non c’è peccato mortale. I presupposti del peccato mortale esistevano già nell’anno 1992 e San Giovanni Paolo II, quando promulgava il catechismo, li aveva ben presente (li spiega proprio nel catechismo). Se avesse voluto lasciare aperta la possibilità di deroghe in base al sentimento soggettivo, lo avrebbe semplicemente scritto nel 1650. Ma invece il 1650 esclude a priori il problema del sentimento soggettivo perché usa un avverbio molto pesante: “oggettivamente”. Il fatto oggettivo della contraddizione alla parola di Cristo prevale su ogni considerazione soggettiva sulla persona. Questo oggi è difficile da accettare, perché la cultura dominante sollecita al soggettivismo; ma è fondamentale. Ammettere che lo stato soggettivo possa prevalere sul fatto oggettivo non è una “deroga” al 1650 ma ne è la negazione della lettera e dello spirito.

SECONDA OBIEZIONE. Il 1650 resta ancora “fondamentalmente” valido. Il sinodo, tra le due posizioni estreme del “dare sempre” e “non dare mai”, ha preso una terza posizione più moderata per cui la Comunione sarà data solo in certi casi, con molto “discernimento”. Infatti “non tutto è bianco o nero” e gli estremismi sono dannosi.
PRIMA CONFUTAZIONE. Questa è la fallacia logica del “falso terzo” (incidentalmente, è una variante del 13° stratagemma descritto da Schopenhauer nel libro “L’arte di ottenere ragione”: «il grigio che vicino al bianco sembra nero, e vicino al nero sembra bianco»). Per far accettare la tesi voluta la si presenta come una tesi terza o mediana tra due tesi estreme; ma in realtà la tesi non è né terza né mediana, è proprio una delle due tesi in conflitto. Dare la comunione “in certi casi” non è diverso o equidistante da “sempre” o “mai”, perché il principio è il medesimo del “sempre”: l’oggettivo contrasto con l’indissolubilità del matrimonio non è più un ostacolo. Acquisito questo concetto, o ammettere un solo caso nel mondo, o ammetterli tutti, non fa differenza teorica. Infatti, una volta ammessi pochi casi, i pochi tendono a diventare molti e i molti tutti (cfr quarto motivo).
SECONDA CONFUTAZIONE. “Non tutto è bianco o nero”: di per sé questa affermazione è vera (il cristianesimo non è manicheismo) ma “non tutto” non equivale a “niente è bianco o nero, tutto è grigio”. Le zone grigie esistono, ma ci sono alcuni assoluti dove davvero o è bianco oppure è nero e non esiste né terzo né intermedio. O Cristo è Dio; oppure non lo è. O il matrimonio valido è indissolubile; oppure non lo è.


SECONDO MOTIVO.

Chi dice che si può dare la Comunione alla persona divorziata risposata, se questa non ha la piena avvertenza del suo peccato, trascura i seguenti fattori.

a) Non è plausibile che un cattolico possa arrivare all’età da matrimonio, sposarsi in chiesa previo corso prematrimoniale, divorziare e risposarsi civilmente, tutto ciò senza essere mai stato avvertito del fatto che il divorzio è un peccato mortale. Non c’è nessuna ignoranza in materia che non possa essere colmata da una breve e onesta lettura di mezza pagina del vangelo, eventualmente accompagnata da una breve e onesta discussione. Data la nettezza delle parole di Gesù, non c’è spazio per zone intermedie di “avvertenza, sì, ma non piena”.

b) Se una persona potesse davvero dimostrare di essersi precedentemente sposata senza conoscere l’indissolubilità, la Chiesa – oltre che ammettere la futilità di certi corsi prematrimoniali – dovrebbe dichiarare nullo il precedente “matrimonio”. Questo risolve il problema secondo quanto già affermato dal catechismo.

c) Si dice che oggi il clima culturale ostile ha confuso in molti cattolici la consapevolezza dell’indissolubilità del matrimonio e perciò si può avere la non piena avvertenza. Questa affermazione è confusa a sua volta, perché confonde “ignorare” con “rifiutare”. Questi “cattolici confusi” non ignorano che la Chiesa condanna il divorzio, bensì lo sanno e non sono d’accordo: non mancano di piena avvertenza, ma di piena adesione alla fede. Non c’è un’attenuante per riconoscere la Comunione, semmai c’è un’aggravante per negarla.

d) Ammesso pure che si trovi davvero questo semimitico buon selvaggio, che è riuscito a contrarre matrimonio in chiesa senza mai imparare cosa dice sul matrimonio la Chiesa, si dimentica un punto fondamentale. L’ignoranza non è una virtù. Se io incontro qualcuno che “non sa”, il mio dovere è istruirlo, non posso lasciarlo nell’ignoranza. Il divorziato risposato senza piena avvertenza, che chiedesse al sacerdote di accostarsi alla Comunione, acquisirebbe la piena avvertenza nell’istante stesso in cui il sacerdote gli dicesse “figlio caro, ti devo dare una notizia.”

e) Se invece si pensa che il sacerdote debba lasciare il buon selvaggio nell’ignoranza, per non fargli maturare la “piena avvertenza” e non fargli perdere il “diritto” alla Comunione, allora si implica che l’ignoranza è salvifica. Questa linea di pensiero ha conseguenze interessanti. Tanto vale dare la Comunione anche ai bambini sotto l’età della ragione (non hanno piena avvertenza dei loro peccati). Tanto vale dare la Comunione anche ai non cattolici, che “non sanno” che quello è il Corpo di Cristo, e anche ai non cristiani, che “non sanno” che Cristo è Dio. La Chiesa docente dovrebbe smettere di insegnare, anzi dovrebbe smettere di esistere. La conclusione logica e inevitabile è che Cristo ha fatto male ad incarnarsi, perché così ci obbliga a fare i conti con la sua presenza e la sua dottrina, avrebbe fatto meglio a lasciarci nell’ignoranza e poi salvarci tutti per mancanza di piena avvertenza.

È impossibile che un “divorziato risposato” non abbia, e continui lecitamente a non avere, piena avvertenza del suo peccato mortale.


TERZO MOTIVO.

 La piena avvertenza non può mai mancare. Invece il deliberato consenso può mancare in alcuni casi; ma ora si cerca di far passare come tali anche quei casi in cui invece non manca, cercando di pesare i casi col bilancino della casuistica – non si dice “casuistica” perché pare brutto, si dice “discernimento”, ma la sostanza è quella.

a) se il deliberato consenso manca da parte di entrambi i “coniugi”.

Entrambi sono d’accordo sul fatto di aver peccato, e vorrebbero interrompere l’unione illecita, ma non possono per validi motivi: tipicamente il caso in cui sono nati figli da questa unione. Il 1650 del catechismo ha già risolto la questione: i “coniugi” rinunciano a vivere lo specifico della relazione matrimoniale, cioè l’atto sessuale. Si impegnano alla continenza (per la precisione il “vivere come fratello e sorella” va oltre la mera continenza, cambia il tipo di affettività, ma semplifichiamo).
Ciò che legittima i “coniugi” a ricevere la Comunione non è tanto la mancanza di deliberato consenso, ma il fatto che è oggettivamente cambiata la situazione: l’adulterio è solo formale. Ovviamente la continenza è molto difficile e c’è sempre la possibilità di cadute; la situazione non è un peccato, tuttavia è una continua “occasione prossima di peccato” e sarebbe meglio interromperla, se non fosse per il bene dei figli. Questo tuttavia è il problema generale che riguarda tutti noi peccatori, che in confessione ci pentiamo e poi cadiamo di nuovo. Anzi, in queste difficili circostanze, i “coniugi” che esercitassero eroicamente la virtù della continenza sarebbero davvero sulla strada della santità.
OBIEZIONE: i “coniugi” sono “costretti” non solo a restare assieme, ma anche ad avere rapporti sessuali tra di loro, perché la continenza sarebbe un peso troppo grande e porterebbe a mali peggiori. Lo dice la nota 329 di Amoris Laetitia: «se mancano alcune espressioni di intimità, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli». I figli soffrono se vedono che mamma e papà non si vogliono bene.
CONFUTAZIONE. Si confonde tra consenso alla coabitazione e consenso al singolo atto sessuale. Una persona può illecitamente costringere un’altra, ma quale circostanza può costringere due persone a fare sesso controvoglia? La nota 329 è scritta in forma così vaga e ambigua da non dire niente di concreto, perché “espressioni di intimità” non sono solo i rapporti sessuali, sono anche i semplici e leciti gesti affettivi (baci, abbracci) che si scambiano i fidanzati prima di sposarsi, oppure i parenti che si vogliono bene, come i proverbiali fratello e sorella. I figli possono vedere che mamma e papà si vogliono bene senza controllare cosa fanno in camera da letto. Se la continenza fosse troppo gravosa per un divorziato risposato, allora lo sarebbe anche per un fidanzato a cui la fidanzata chiede di aspettare, lo sarebbe per chiunque. Così crollerebbe tutta la morale sessuale cattolica e la Chiesa non avrebbe più credibilità.

b) se il deliberato consenso manca da parte di uno soltanto dei “coniugi”.

Uno dei due sa di aver peccato e vorrebbe chiudere l’unione illecita, o almeno praticare la continenza, ma l’altra parte non vuole e minaccia ritorsioni, per esempio l’abbandono del tetto “coniugale”. Di solito la parte sotto minaccia è quella economicamente debole e che ha più a cuore il bene dei figli; perciò non solo è da giustificare moralmente, ma anche da compatire e da aiutare, perché non ha deliberato consenso né per la coabitazione né per gli atti sessuali.
In questo caso, chi pratica il “discernimento” dice: la parte che subisce non è in peccato mortale, manca il deliberato consenso, perciò può ricevere la Comunione.
A questo “discernimento” si può opporre, oltre a ciò che è detto nel primo e nel quarto motivo, la seguente osservazione. Se io vengo a sapere che una persona subisce ripetutamente atti sessuali non desiderati, il mio dovere non è quello di mantenere questo stato di cose per riconoscere il “diritto” di ricevere la Comunione; piuttosto devo fare tutto ciò che posso per far cessare la costrizione, se possibile cercando di convertire anche l’altro “coniuge” alla continenza, in caso estremo aiutando la parte debole a porre fine a questa situazione di subordinazione sessuale.
Mi sono chiesto se sia corretto usare la parola “stupro” per definire questa situazione. Forse sembra una parola troppo forte, forse può venir voglia di attenuarne l’impatto cercando delle gradazioni nella costrizione, delle forme più o meno lievi di minaccia. Ma se stiamo davvero parlando di mancanza di deliberato consenso all’atto sessuale, di cos’altro stiamo parlando allora?


QUARTO MOTIVO.

 Ogni azione e ogni situazione può essere esaminata sotto tre aspetti:
– oggettivo (come è in sé);
– soggettivo (come è nel pensiero di chi la vive in prima persona);
– intersoggettivo (come è nel pensiero di chi la vede dall’esterno).

La Chiesa cattolica non ha mai trascurato l’aspetto intersoggettivo. Come madre pensa al bene di ciascuno dei suoi figli, come maestra pensa al valore pedagogico delle sue decisioni. Quando la maestra giudica un alunno, sa che tutta la classe sta giudicando lei.
È necessario chiedersi cosa capiranno gli altri fedeli se vedono che la Chiesa ammette alla Comunione i divorziati risposati. Soprattutto cosa capiranno la stragrande maggioranza dei semplici, quelli che non leggono mai il catechismo e non hanno inclinazione alle sottili disquisizioni su piena avvertenza e deliberato consenso. La risposta è molto semplice: capiranno che la Chiesa, sotto sotto, di fatto accetta il divorzio. E non avranno neppure tutti i torti, perché l’albero si giudica dal frutto.

«Realismo. Una delle grandi virtù cristiane dimenticate. Il realismo nasce dalla consapevolezza del peccato. Laddove si abbandona questa consapevolezza si finisce nell’utopia, che è il contrario del cristianesimo. Il cristiano è un realista, è uno che si confronta con la realtà così com’è, non con la realtà come gli piacerebbe che fosse.» (Vittorio Messori)

Bisogna essere davvero molto ingenui, o molto riprogrammati in senso misericordioso, per credere davvero che la Comunione sarà data solo in casi eccezionali. Si potrebbe fare una lista molto lunga delle novità che sono state introdotte a forza, tranquillizzando i perplessi con “tanto saranno solo pochi casi eccezionali, state tranquilli”; e poi in poco tempo le eccezioni sono diventate la prassi, la norma, la regola obbligatoria e un diritto umano.
A voler essere misericordiosi verso i “pochi casi eccezionali”, si diventa non misericordiosi verso tutto il resto della Chiesa. Una maestra che diseduca i suoi alunni non è misericordiosa.


QUINTO MOTIVO.

Alla fine si arriva sempre a questo argomento, che per molti cattolici è quello determinante: “lo dice il Papa” in Amoris Laetitia, perciò si fa e basta. “Il Papa è il Papa” e se lo dice lui allora è vero.
Ebbene: non è vero che il Papa “l’ha detto”. Amoris Laetitia, paragrafo 305 e nota 351:

«A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.
[n. 351] In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore». Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli.»

Questo punto di Amoris Laetitia è così vago ed ambiguo che in sé non “dice” nulla di concreto. Può essere interpretato sia in senso contrario al catechismo (non occorre più la continenza), sia in senso coerente (sacramenti per chi si impegna a vivere in continenza).
Di queste due interpretazioni possibili, l’unica corretta deve essere per forza quella coerente al 1650 del catechismo; altrimenti il magistero della Chiesa sarebbe in contraddizione con se stesso, e se la Chiesa si contraddicesse non avrebbe più credibilità, dunque non l’avrebbe neppure il Papa.

Ma qui, che è il grande punto dolente, si concentra la maggior quantità di obiezioni:
1) Amoris Laetitia è magistero e va accettata;
2) il magistero del Papa prevale sul catechismo;
3) non c’è conflitto tra catechismo e Amoris Laetitia perché uno parla di dottrina e l’altra di prassi;
4) il Papa non ha modificato il catechismo esplicitamente, bensì implicitamente;
5) se non accetti la nuova prassi, allora sei un fariseo e implichi che il Papa è un eretico o un antipapa.

PRIMA OBIEZIONE. Amoris Laetitia è magistero e deve essere accettata dal fedele. Chi non obbedisce al Papa non è un buon cattolico.
PRIMA CONFUTAZIONE. Non si tratta di rifiutare l’esortazione, ma di interpretare i suoi punti ambigui in senso coerente al catechismo. Se un brano è ambiguo e dà adito a più interpretazioni, non può essere “accettato” se prima non si chiarisce qual è, di tutte le interpretazioni possibili, quella da accettare. Allo stesso modo è vero che bisogna obbedire al Papa (salvo il caso che il Papa, come peccatore privato, comandi esplicitamente di peccare), ma per avere obbedienza è necessario che vi sia un ordine. Qui l’ordine non c’è. Perciò non si può accusare di disobbedienza chi resta fedele al catechismo.
SECONDA CONFUTAZIONE. Sono magistero anche la Familiaris Consortio, il catechismo, tutta la precedente tradizione della Chiesa. I fedeli hanno il diritto di non essere sballottati tra magisteri contrastanti. Il magistero non è il Socing, la dottrina del Partito di “1984” dove il passato è riscrivibile e 2+2=5, e i fedeli non sono comunisti trinariciuti ai quali possa essere detto «Contrordine, compagni cattolici; per un refuso tipografico dovuto all’assenza di registratori al tempo di Gesù, laddove si è scritto che gli adulteri non possono ricevere la Comunione, si intendeva dire che possono».

SECONDA OBIEZIONE. Il magistero del Papa è superiore al catechismo, difatti se vuole può anche modificarlo. L’insegnamento della Chiesa su ciò che è morale o immorale è cambiato tante volte, ad es. con il prestito a interesse. Perciò che il Papa non abbia modificato il 1650 non vuol dir niente, perché potrebbe farlo in qualsiasi momento.
PRIMA CONFUTAZIONE. Il Papa può modificare alcune cose (la forma di esposizione o le norme di diritto ecclesiastico) ma non altre (la Rivelazione o il diritto naturale). La disposizione del 1650 “non possono accedere alla Comunione” è immodificabile perché deriva logicamente (“perciò”) dalla contraddizione oggettiva della situazione con l’indissolubilità del matrimonio.
SECONDA CONFUTAZIONE. Se pure si ritenesse che il Papa potesse modificare il 1650, di fatto non lo ha modificato. Perciò è ancora valido e deve essere rispettato fino a che non sarà modificato. In particolare, questa è la posizione del teologo don Ariel Levi di Gualdo, che per spiegare il potere delle chiavi del Papa ha coniato l’efficace metafora dell’assegno in bianco: Cristo ha rilasciato a Pietro un assegno in bianco e nessuno può mettere un limite a questo assegno dicendo al Papa cosa può fare o non può fare. Questa metafora è molto brillante; ma ho un’osservazione. È vero che un assegno in bianco non ha limiti espliciti, tuttavia ha un limite implicito, cioè il saldo del conto corrente su cui è tratto l’assegno. Se io rilascio un assegno in bianco su un c/c su cui ho 1.000 €, il mio creditore può prelevare quanto vuole, ma mai più di 1.000 €: non può prelevare più di quanto potrei io. Nel caso dell’assegno intestato a Pietro, esiste qualcosa che esorbita dal “conto corrente di Dio”? Sì, esiste davvero qualcosa che Pietro non può fare perché neanche Dio può: contraddirsi. Non mi addentro in una discussione filosofica sull’onnipotenza divina, ma l’idea che Dio possa contraddirsi è islamica, non cristiana. Il limite implicito a questo metaforico “assegno in bianco” è il diritto naturale e il diritto divino rivelato.
TERZA CONFUTAZIONE. Dire che la morale può cambiare nel tempo è impreciso e ambiguo. I principi morali non cambiano mai, perché la morale è oggettiva; la corretta applicazione del principio può cambiare a seconda del contesto, ma anche questo cambiamento non è “deciso” arbitrariamente dalla Chiesa bensì “riconosciuto” se nel contesto appare un elemento oggettivamente nuovo.
Esempio. Il caso del prestito a interesse è spesso invocato per sostenere la mutabilità della morale, ma per chi conosce la storia questo esempio dimostra proprio il contrario: in estremissima sintesi, la Chiesa considera il prestito a interesse sempre illecito fino al basso medievo, quando si passa da un’economia di autoconsumo e sussistenza a un’economia dello scambio, nascono i banchieri e le società commerciali; a questo punto cambia la natura e la finalità tipica del prestito; la Chiesa riconosce la liceità di un moderato interesse sul prestito e conferma la condanna dell’usura. Il principio morale dell’uso del denaro resta immutato, la sua applicazione cambia per l’introduzione di un elemento nuovo nel contesto.
Ma nel caso del divorzio non ci può essere alcun elemento nuovo. La sessualità umana non cambia, perché è radicata nella natura umana a prescindere dalle variabili culturali; e non vale dire che oggi vediamo una grande diffusione di divorzi, i divorzi c’erano già al tempo dei primi cristiani ed anzi allora era anche peggio, essendo considerati leciti il ripudio e la schiavitù. L’adulterio c’è sempre stato e sempre ci sono stati potenti che hanno chiesto alla Chiesa di giustificare le loro infedeltà (es. Enrico VIII); se la Chiesa ha resistito in passato, non può contraddirsi oggi. Cambiare l’applicazione di un principio morale senza vere novità “oggettive”, ma solo perché sarebbe cambiata la volontà di Pietro, vorrebbe dire che la Chiesa non “riconosce” bensì “decide” cosa è bene e cosa è male. Così la Chiesa cadrebbe in un terribile soggettivismo e nell’idolatria di se stessa.

TERZA OBIEZIONE. Il Papa non ha modificato il catechismo perché non intende cambiare la dottrina, ma la prassi pastorale. Perciò non si può subordinare Amoris Laetitia al 1650 del catechismo perché sono su due piani diversi. Il giudizio della dottrina dell’immoralità del divorzio resta immutato; ma a questo si deve accompagnare un giudizio di prassi, caso per caso, sulle singole persone.
PRIMA CONFUTAZIONE. Il 1650 non contiene solo una dottrina, ma anche una prassi. “il matrimonio è indissolubile” è dottrina, afferma una verità; “i divorziati risposati non possono accedere alla comunione” è prassi, ordina un comportamento. Se si vuole modificare la prassi pastorale si deve proprio modificare il 1650, altrimenti la Chiesa si contraddice e nega la propria credibilità.
SECONDA CONFUTAZIONE. Dottrina e prassi non sono variabili indipendenti. Difatti il 1650 usa la congiunzione “perciò” per indicare il nesso causale tra esse. Non si può, senza commettere peccato di ipocrisia, predicare una dottrina e poi operare una prassi in contraddizione. Non si può a parole sostenere l’indissolubilità del matrimonio e poi nei fatti dare la Comunione a chi persevera nell’adulterio. La concezione di dottrina e prassi come slegate l’una all’altra è luterana, non cattolica, perché la relazione tra dottrina e prassi è la stessa che intercorre tra la fede e le opere: è la fede che salva, ma la fede si rivela nelle opere, senza le quali è morta. Allo stesso modo la dottrina determina necessariamente la prassi, e se è rivoluzionata la prassi significa che, senza dirlo apertamente, è stata rivoluzionata anche la dottrina. «Bisogna vivere come si pensa, se non si vuole finire col pensare come si vive» (Paul Bourget).
TERZA CONFUTAZIONE. Il “giudizio caso per caso” non è un giudizio particolare che permette di aggirare la regola morale, ma l’applicazione concreta della regola stessa. Se casi diversi sono giudicati in modo diverso, questo non è perché la regola è aggirabile, ma perché ha una complessità interna che già contempla la varietà dei casi. Ad esempio, la legittima difesa e la guerra e giusta e la pena di morte, nei casi in cui sono lecite, non sono violazioni del V comandamento, al contrario sono la sua applicazione in particolari circostanze. Dire che il giudizio “caso per caso” consente una deroga alla legge morale è errato come lo sarebbe il dire che, siccome gli oggetti non sono tutti pesanti allo stesso modo e lo stesso oggetto può pesare in maniera diversa su pianeti diversi, allora la legge di gravitazione universale può essere derogata.

QUARTA OBIEZIONE. Il Papa non ha modificato esplicitamente il 1650, ma lo ha fatto “implicitamente”, perché ha comunque fatto capire la sua intenzione. Non bisogna guardare solo il testo scritto di Amoris Laetitia, ma anche il comportamento complessivo del Papa, e si deve obbedire alla sua intenzione anche se è implicita.
PRIMA CONFUTAZIONE. Non è onesto chiedere al semplice fedele di sbattersi la testa per capire un “implicito”, quando sarebbe molto facile essere “espliciti”.
SECONDA CONFUTAZIONE. Vi sono forme inaggirabili che richiedono parole e fatti espliciti. Il Magistero deve interpretare ciò che è implicito nella Scrittura e nella Tradizione, ad esempio tutta la storia dello sviluppo dei dogmi è un passaggio dall’implicito all’esplicito. Non è possibile esplicitare ciò che è implicito attraverso un altro implicito. Siccome il Magistero deve interpretare, non può essere a sua volta oggetto di ardua interpretazione, altrimenti poi si arriva all’interpretazione dell’interpretazione dell’interpretazione e così via, e non vi è più alcuna certezza di cosa davvero “dice” la Chiesa.
TERZA CONFUTAZIONE. Guardiamo i fatti da cui “dedurre” l’intenzione del Papa. Amoris Laetitia è, su questo argomento, ambigua. Secondo le indiscrezioni di mons. Bruno Forte, l’ambiguità sarebbe deliberata; queste indiscrezioni non sono né confermate né smentite. Gli stretti collaboratori del Papa hanno incoraggiato una interpretazione in senso difforme al 1650; i collaboratori del Papa non sono il Papa e non sono loro ad avere il primato petrino. Gli organi di stampa ufficiali cattolici hanno dato grande risalto a interpretazioni di Amoris Laetitia in senso contrario al 1650; gli organi di stampa ufficiali cattolici non sono il Papa. Il Papa ha privatamente approvato, con una lettera privata che poi è stata fatta trapelare, l’interpretazione dei vescovi argentini in senso difforme al 1650; una lettera privata, che in teoria era stata pensata per restare tale, non è magistero pubblico. In passato una divorziata risposata aveva testimoniato di aver ricevuto dal Papa una telefonata in cui, dopo essersi lamentata perché il sacerdote della sua parrocchia non le dava la Comunione, il Papa le avrebbe suggerito di prendere la Comunione altrove; il portavoce del Papa aveva detto che la testimone non era attendibile nel suo complesso, ma non aveva negato se quello specifico suggerimento c’era stato o non c’era stato. Infine, alcuni cardinali con i Dubia hanno chiesto espressamente al Papa di chiarire; il Papa non ha risposto e non ha chiarito.
Questi sono i fatti e da essi si potrebbe presumere, secondo un normale giudizio umano, che l’intenzione implicita del Papa sia quella di “superare” il 1650. Dico “si potrebbe” al condizionale perché giudicare le intenzioni dalle azioni è necessario – “dai frutti giudicherete l’albero” – ma sempre difficile, e il giudizio deve essere prudente, in particolare quando si parla di una persona che occupa un ufficio così particolare. Ma se questa è l’intenzione implicita, bisogna chiedersi per quali motivi non è resa esplicita.
Io non conosco con certezza i motivi umani, ma credo a un motivo soprannaturale. Essendo cattolico, credo che lo Spirito Santo assista sempre il Papa; credo che questa assistenza possa manifestarsi in molti modi, tra cui anche il trattenere il Papa dal commettere un errore che sarebbe compromettente per la credibilità della Chiesa. Tornando alla metafora precedentemente descritta, se Cristo ha rilasciato a Pietro un assegno in bianco tratto sul conto corrente di Dio, lo Spirito Santo funge da “banchiere”: questo può essere prelevato dal conto corrente; questo anche; invece questo no, perché non c’è sul conto corrente, Dio non può contraddirsi.

QUINTA OBIEZIONE. Opporsi al Papa significa essere come i farisei che si opponevano a Gesù; significa implicare che il Papa è eretico, o addirittura che non è il vero Papa.
PRIMA CONFUTAZIONE. Mi chiedo se chi afferma questa specie di proporzione teologica “Il Papa sta ai rigidi come Gesù sta ai farisei” si renda conto di quanto sia inaccettabile e perfino controproducente. I farisei nei vangeli sono spesso cattivi e ipocriti, eppure dicono una sola cosa vera, proprio quando si parla di matrimonio. Cristo dice che il matrimonio è indissolubile; i farisei obiettano che Mosè ha permesso il divorzio. Ebbene, qui hanno ragione. Su tutto il resto hanno torto, ma su questo no. Infatti Cristo non cerca impossibili compromessi tra l’indissolubilità e il ripudio, ma rivela che la sua parola è superiore a quella di Mosè; il permesso del ripudio era temporaneo, “in principio non era così”. Qui Gesù supera l’ebraismo, trasformandolo nella nuova religione che è il cristianesimo, e implica la propria divinità, perché solo Dio può correggere Mosè e sapere come stavano le cose “in principio”. Chi vuole che il Papa faccia come Gesù fece con i farisei, di fatto, propone di fare con il cristianesimo la stessa cosa che Gesù ha fatto con l’ebraismo: superarlo e trasformarlo in un’altra religione, con la pretesa implicita di essere Dio. Questo non può essere fatto. Io resto cattolico e mi sta bene l’essere paragonato ai farisei nell’unica cosa in cui avevano ragione, la fedeltà alla parola del fondatore.
SECONDA CONFUTAZIONE. Se oggi lo Spirito Santo assiste il Papa trattenendolo dall’insegnare ufficialmente un errore, questo implica precisamente che lui è proprio il Papa. Opporsi a un errore o potenziale errore del Papa non implica il considerarlo eretico o antipapa. Il cosiddetto sedevacantismo è l’altra faccia della medaglia della cosiddetta papolatria, perchè entrambi partono da una concezione esagerata dell’infallibilità papale: il sedevacantismo per negare l’errore nega pure la qualifica di Papa, mentre la papolatria piega i concetti e le parole per dire che il nero è bianco se lo afferma il Papa e il male è bene se lo fa il Papa. Ma la storia della Chiesa conosce da parte di Pietro anche errori di fatto, espressioni ambigue, comportamenti non ineccepibili, che però non sono mai diventati l’insegnamento ufficiale della Chiesa. Giovanni XXII e i Papi dell’epoca ariana sono lezioni da studiare, ma la migliore lezione è che lo Spirito Santo ha voluto che negli Atti degli Apostoli fosse ricordato un comportamento sbagliato dello stesso Pietro, il quale fu fraternamente e filialmente corretto da Paolo («mi opposi a lui a viso aperto»). Anche la resistenza di fronte all’errore è una forma di amore per il Papa, inteso sia come funzione e sia come persona transeunte che occupa il soglio.

Perciò, in aggiunta agli altri quattro motivi per cui non è lecito dare la Comunione ai divorziati risposati che non vivono in continenza, ecco l’ultimo motivo che per me è “la prova del nove”. Non è lecito proprio perché, se avesse potuto essere reso lecito, il Papa lo avrebbe già ufficialmente reso lecito. Ma se non lo ha reso lecito, pur in mezzo a tante sollecitazioni non ufficiali per liceizzarlo, è proprio perché non può ufficialmente renderlo lecito. Per quanto possa sembrare paradossale, proprio il comportamento complessivo del Papa, compreso il suo silenzio ai Dubia, mi conferma nella fede e mi fa vedere l’opera del katechon, lo Spirito Santo che assiste sempre Pietro e garantisce il primato petrino.


CONCLUSIONE.

Voglio ribadire solo un concetto molto semplice. La questione fondamentale non è l’obbedienza alle regole. Il cristianesimo è “anche” una serie di regole («se mi amate osserverete i miei comandamenti», «Chi trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli») ma non è “solo” le regole. Le regole sono solo una conseguenza.
La questione fondamentale è una domanda semplicissima: ma io mi posso fidare della Chiesa? Posso credere alle cose “incredibili” che mi racconta la Chiesa – la resurrezione di Cristo, i sacramenti, la Presenza Reale, il giudizio dopo la morte, il cielo e l’inferno?
La risposta è sì. Io mi posso fidare della Chiesa perché la Chiesa, nella sua predicazione ufficiale, non dice bugie. Dice la verità.

Ma se per assurdo ammettessimo una Chiesa che si contraddice. Una Chiesa che nel catechismo dice una cosa e nella prassi ne fa un’altra. Una Chiesa che oggi nega quello che affermava ieri, e dunque possiamo stare sicuri che domani negherà quello che afferma oggi. Una Chiesa che sostiene di aver sbagliato quasi tutto fino a pochi anni fa, e poi pretende di essere creduta proprio a partire da adesso. Una Chiesa che ragiona così: “siccome la gente non fa quello che predichiamo, cominciamo a predicare quello che la gente fa”.

Allora avremmo una Chiesa che distrugge la propria affidabilità e non è più credibile. E se non è credibile su ciò che posso vedere e capire, a maggior ragione non può essere credibile su tutto il resto – la resurrezione di Cristo, i sacramenti, la Presenza Reale, il giudizio dopo la morte, il cielo e l’inferno.
La questione della prassi di dare o non dare la Comunione a chi persevera nell’adulterio è estremamente importante, non tanto in sé e per sé, quanto per ciò che implica. La Chiesa dice o non dice la verità?

34 pensieri su “Perchè no

  1. In linea di massima si potrebbe dire del magistero quello che esso stesso dice delle sacre scritture, che pure esso serve: la verità in esse contenuta è teologica, non scientifica.
    E non potrebbe neppure esserlo, perché il limite della scienza sta proprio nell’oggettività delle sue asserzioni, che devono cambiare al cambiare della chiave di lettura delle osservazioni: basta pensare alla fisica meccanica, o in base alla relatività generale, o in base alla meccanica quantistica.
    La nostra capacità di conoscere progredisce (o comunque cambia, anche entrando in crisi, come nell’epoca attuale) con il progredire della nostra capacità di descrivere la realtà o con l’accadere di situazioni nuove (per esempio, l’odierna sovrabbondanza di dati senza un comune orizzonte di significato entro il quale collocarli). Lo strumento descrittivo principe della teologia occidentale è ancora la filosofia tomista. Più recentemente si usa la fenomenologia o l’esistenzialismo, ma anche queste sono debitrici verso il tomismo quanto all’ontologia sull’idea di Essere. Già la prospettiva cambia per le chiese ortodosse. Non si tratta di fare sofismi a partire da costrutti filosofici artificiosi ma di partire dalla consapevolezza della nostra limitata capacità di cogliere la realtà prima di sottoporla a regole che noi stessi abbiamo creato (nel vissuto o attraverso gli studi) per poterla interpretare. È il problema che hanno dovuto affrontare i padri della chiesa quando si trovarono a dover descrivere Dio nel simbolo della fede. E se fosse vero che il magistero non è oggetto di interpretazione, allora non dovrebbe mai essere tradotto in italiano quello che fu scritto in greco, perché una traduzione presuppone necessariamente una interpretazione da ordini semantici diversi.
    Dalle scritture sappiamo che Pietro non pensava alla salvezza per i gentili ma s’è ricreduto quando ha visto (At 10) lo Spirito scendere sui “pagani” ancor prima che lui imponesse le mani. Lo Spirito viene prima delle regole ed aiuta a comprendere la coerenza di quanto Egli stesso ci ispira e ci ha mostrato, in maniera spesso nuova, e che noi interpretiamo con la vita e “scriviamo” secondo le nostre capacità razionali: a noi sta rimanere aperti e attenti. Questa “cosa” qua, nel quotidiano della pastorale, qualcuno la chiama discernimento. E chi rischia di batterci la testa dovrebbe poter trovare pastori preparati che li aiutino a farlo. Con i miei figli, a me che sono cattivo, capita di essere misericordiosamente incoerente nelle regole: in apparenza però, almeno finché non comprendono che io non sono la regola ma uno di coloro che li educa e che governano quella regola. E di certo non distruggo la mia affidabilità perché evito di ingabbiare i miei figli in regole inflessibili, perché la mia autorità non consiste solo nel definire le regole, ma anche in quella di interpretarle secondo l’amore.
    L’ermeneutica del magistero spetta alla chiesa, anche a quella futura, che avrà strumenti forse migliori (sicuramente diversi) per l’epoca in cui avrà da esprimersi; così come spettava alla chiesa passata nell’epoca in cui doveva esprimersi. È fede come confidenza, non come convinzione che l’immagine di un momento nello specchio nel quale vediamo la realtà sia invece la realtà tutta intera. È sequela di Gesù Cristo persona viva, non dell’oggettivazione che rischiamo di fare di lui.

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  2. ago86

    Se una cosa è peccato, è tale in qualunque linguaggio venga espressa. Il messaggio non è il linguaggio, non si appiattisce su di esso, ma di certo ne forma il senso profondo che vuole comunicare.

    Il ragionamento di Luca Gentili parte da un presupposto vero, cioè che la verità non è legata al linguaggio e alla formalizzazione con la quale la si esprime, perché è sempre qualcosa di “ulteriore” rispetto al linguaggio. Però se assumiamo tale presupposto ritenendo che cambiando il linguaggio cambia anche la verità – e un atto che prima era peccaminoso diventa poi lecito – non facciamo che negare il presupposto iniziale: infatti in questo modo la verità rimane appiattita sul linguaggio che la esprime, per cui è quest’ultimo a decidere se una cosa è vera o no.

    Insomma, il linguaggio non è autoreferenziale, e la verità fa riferimento alla realtà dei fatti. Uno può girare le cose quanto vuole, ma i fatti stanno lì, sempre; se la verità perde il contatto con la realtà e con gli atti della persona umana, semplicemente non è più verità, ma flatus vocis. D’accordo, cogliamo la realtà in maniera limitata, ma se un atto viene smentito nella sua bontà, vuol dire solo che era malvagio, e che quindi eravamo in errore a ritenerlo giusto. Insomma, non è che conoscendo meglio la realtà cade tutto quello che si conosceva prima.

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    1. Concordo. Cambiando il linguaggio cambia il modo di essere in relazione (soprattutto razionale, ma non solo) alla verità: questo non la cambia ma la interpreta (nel senso inteso da Pareyson, per quel poco che ne ho capito, che tuttavia poneva il darsi dell’Essere a origine, mentre Zizioulas pone la relazione, Dio come relazione, prima di una qualsiasi oggettivazione in un Essere).

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      1. Scusa, ho chiuso il form per sbaglio….proseguo tralasciando Zizioulas.
        Il linguaggio umano non è autoreferenziale ma è lo strumento con il quale collochiamo i fatti in un orizzonte di senso e significato. E conosciamo quei fatti solo attraverso la mediazione del nostro linguaggio. Il peccato rimane peccato, ma la nostra capacità di capire ciò che è peccato può cambiare, così come nel tempo abbiamo distinto ciò che è sacramento da ciò che è sacramentale.
        Più in profondità, e solo per esempio, non posso escludere che quell’idea di fatto che oggi è l’ossatura della nostra capacità di descrivere la realtà non abbia in futuro la necessità di una narrazione storica e non solo una qualificazione empirica (in coerenza con la visione ebraica della verità: Dio è vero perché è l’unico fedele e la sua fedeltà è priva della sua verità). Ed evidentemente questa ipotesi ci garantirebbe da derive relativiste.

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      2. Sì, la capacità di capire il peccato cambia, ma il cambiamento non può contraddire ciò che vi era in precedenza. Nel post ho fatto l’esempio del prestito a interesse, che sembra una contraddizione ma non lo è.

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  3. «E se fosse vero che il magistero non è oggetto di interpretazione, allora…»

    Luca Gentili, quello che dici è vero tuttavia non coglie il punto perché stai inciampando in un equivoco sulla parola “interpretazione”.
    Io non ho scritto che il magistero non è oggetto di interpretazione; ogni testo, in quanto tale, è fatto per essere interpretato da un destinatario, compreso il mio post e il tuo commento che lo interpreta e il mio commento che interpreta il tuo commento etc etc.
    Io ho scritto che il magistero “non può essere oggetto di ardua interpretazione”. L’interpretazione di cui parlo è quella che chiarisce ciò che non è chiaro. È questo il compito del magistero cattolico, sicchè il progresso della conoscenza è un progresso da una minore a una maggiore comprensione. Se un testo non chiaro è interpretato da una interpretazione a sua volta poco chiara, o addirittura più oscura dell’oscurità iniziale, allora l’interpretazione è inutile o dannosa. Ad esempio, rileggendo quella frase del post mi accorgo che non era semplice come credevo, perché ha generato un equivoco; allora ecco che con questo commento la chiarisco, almeno spero.
    Il linguaggio umano è imperfetto come ogni cosa umana, non esisterà mai un testo perfettamente chiaro, tuttavia esistono gradazioni di oscurità e di chiarezza e il magistero deve portare dalla prima alla seconda, non viceversa.

    «Dalle scritture sappiamo che Pietro non pensava alla salvezza per i gentili ma s’è ricreduto quando ha visto (At 10) lo Spirito scendere sui “pagani” ancor prima che lui imponesse le mani. Lo Spirito viene prima delle regole ed aiuta a comprendere la coerenza di quanto Egli stesso ci ispira»

    Il tuo esempio è sbagliato, perché Pietro non aveva impegnato il magistero dicendo che non vi era salvezza per i gentili. Magari la pensava privatamente, ma poi lo Spirito gli mostra che si sbaglia.
    Nel caso del matrimonio abbiamo un vangelo chiarissimo e duemila anni di magistero. Lo Spirito ha già parlato e spiegato ed è stato abbondamentemente interpretato. Quando Pietro parla in quanto Pietro, quando un Papa si pronuncia ufficialmente, la Chiesa fa un passo avanti nella progressione della conoscenza sempre più chiara della Rivelazione. Questo progresso è irreversibile.

    Attento perché lo Spirito di cui parli sembra uno spirito più hegeliano che cristiano, uno spirito che procede per contraddizioni e sintesi di tesi antitetiche, in ultima analisi uno Spirito irrazionale. Ma questo non va bene per un cristiano. Lo Spirito Santo è prima delle regole ma si manifesta anche attraverso le regole, abbandonare le regole in nome di una pretesa primazia dello Spirito è una tentazione ispirata dal diavolo per condurci a quello che ago86 correttamente chiama autoreferenzialità del linguaggio.
    Così ci prendiamo in giro da soli, perché diciamo di essere fedeli allo Spirito, ma in realtà siamo fedeli solo alle nostre voglie, ai nostri verbosi labirinti di parole, al nostro conformismo verso il mondo e i poteri che lo governano.

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    1. Non credo di riuscire in raffinati giochi ermeneutici, non ne ho i talenti e non volevo giocare. Neppure mi pare di aver usato alcuna dialettica hegeliana. Mi accorgo piuttosto di aver suscitato in te una vis polemica che non ci aiuta a comunicare: non ci conosciamo e la polemica non aiuta a conoscerci né a intenderci. Dal mio canto, se le tue argomentazioni mi sembrano fondate quanto quelle dei tradizionalisti che non riconoscono il CV2 perché ha una teologia in taluni punti difforme da quella del concilio di Trento, so anche che posso sbagliarmi. Ma poi si rimane così, punzecchiati e più inclini a vincere che a comprendersi. M dispiace di non aver potuto esserti utile più di quanto tu lo sia stato a me.

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      1. Mi spiace per la vis polemica. Non hai usato dialettica hegeliana, ma oggi siamo tutti hegelizzati per osmosi. L’idea di uno Spirito che può contraddirsi va in quella direzione. Ti esorto a stare in guardia da questo processo di “trasbordo ideologico inavvertito”.

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  4. Anonimo

    Le genti cristiane incespicano nel fango della postmodernità occidentale, una civiltà allo sbando, smaniosa di dissolversi. Dall’altrove giungono migliaia di stranieri, testimoni di una salda fede bellicosa e invadente, non hanno autorità e non hanno patria. Si riconoscono in una umma identitaria che riesce nel compito di fortificare una comunità diffusa e dispersa, una ecclesia planetaria di sradicati molto prolifici, sufficientemente diseducati alla dignità civile e perfetta materia per lo sfruttamento del nuovo corso capitalista, non chiedono diritti e tutele che mai hanno fatto parte della loro storia. È guerra.
    La Chiesa, in questa ora terribile, deve essere madre di misericordia, disposta alle concessioni più ampie e generose verso i suoi figli sperduti. In guerra è saggio propiziarsi anche i carcerati e sia benedetto il brigante che si fa eroe. La Chiesa deve raccogliere intorno a sé anche le prostitute e i pubblicani, riavvicinarli a Cristo per gradi e secondo la sensibilità corrente. Poi si tornerà alla legge.

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    1. ago86

      No, stai facendo una confusione enorme. Non serve a nulla far diventare “cristiani per forza” o “senza saperlo” gente a cui non interessa nulla né della Chiesa né di Cristo o della sua identità culturale. E’ un suicidio sotto tutti i punti di vista.

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  5. ba

    ma se l’adulterio è un peccato così grave, non potrebbe essere così tanto grave da distruggere l’unione matrimoniale? così tanto grave proprio in quanto distrugge l’unione matrimoniale? unione coniugale che è così tanto enormemente un bene che pure una seconda unione per quanto sorta sui presupposti dell’uccisione di una precedente debba essere a sua volta per se stessa – e non solo per il bene dei figli – tutelata? ciò che Dio ha unito l’uomo non separi comanda di non commettere adulterio, per non distruggere una unione che è in essere, ma non dice nulla di cosa fare dopo che a causa dell’adulterio l’unione è stata definitivamente rotta. si potrebbe fare il paragone con l’omicidio e la pena di morte per l’omicida. se la vita è così sacra, l’omicidio va vietato, ma dopo che un omicidio è stato compiuto, questo rende lecita la pena di morte a sua volta dell’omicida? diceva beccaria, parmi un assurdo che per punire un omicidio se ne commetta un altro. così per punire la distruzione di un matrimonio se ne distrugge un altro?
    p.s. non dico che questo argomento sia valido, solo non lo vedo discusso nella lista suddetta e mi piacerebbe sapere quale obiezione ci potrebbe essere ”contra”

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    1. Se si parte dal presupposto che il matrimonio è indissolubile («per fedeltà alla parola di Cristo») allora la risposta alla tua domanda è evidente.

      Il paragone con l’omicidio è interessante ma fuorviante perché la vita dell’uccisore esiste già da prima della morte dell’ucciso, è un bene in sé (a prescindere dai casi teorici in cui la pena di morte è lecita); questa “seconda unione” invece è sorta sul presupposto della violazione della prima, non è un bene in sé.

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      1. ba

        allora per esempio san pietro la chiesa è stata costruita coi soldi della vendita delle indulgenze, quindi va distrutta? non saprei dire quanti bambini sono figli di unioni illeggittime, quindi vanno uccisi? il fatto che qualcosa sia sorto su presupposti peccaminosi non mi pare sia sufficiente per dire che la cosa che è sorta non è poi un bene in sè. mi sembra che san paolo dica proprio il contrario quando dice dove il peccato è abbondato la grazia è sovrabbondata. anche la redenzione è sorta sul presupposto del peccato originale, eppure… il presupposto che il matrimonio sia indissolubile lo condivido così come quello che la vita sia inviolabile, ma dal momento che questo non basta affinchè nel mondo esso sia sempre rispettato, esistono situazioni di fatto nate dalla violazione di questi presupposti. la soluzione di distruggerle dà sicuramente il messaggio che quello che è stato fatto era un peccato, vedi sodoma e gomorra, oppure diluvio universale, ma questa non è stata nella bibbia l’ultima parola di dio, Gesù è l’ultima parola di Dio

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  6. C’è un errore logico nel tuo ragionamento.
    Distruggendo San Pietro non posso “disfare” la simonia compiuta. Uccidendo il figlio illegittimo non posso far sì che non sia stato l’adulterio che è stato. È lo stesso discorso della vendetta verso un assassino, non fa resuscitare la vittima.
    Al contrario, se consideri davvero il matrimonio indissolubile, allora esso esiste ancora, anche se i coniugi si sono separati. Perciò in teoria può essere ricomposto se tornassero assieme (di fatto può essere umanamente irrealizzabile, ma per la loro volontà concreta o per il bene dei figli di secondo letto, non per una impossibilità concettuale).
    L’ho già detto nel 5 motivo, 3 obiezione, 2 confutazione: idea e prassi non possono essere slegate. Se credi al matrimonio indissolubile, devi agire di conseguenza. La fede senza le opere è morta.

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  7. Circa il “bene in sé”, dobbiamo sgombrare il campo da un equivoco. Noi diciamo in linguaggio approssimativo che un evento “cattivo” può causare un evento “buono”. In termini metafisici questo è impreciso perché il male, essendo un’assenza di bene, un non essere, non può causare nulla. La vera causa è il “frammento” di bene a cui il male si è “aggrappato” parassiticamente, pervertendolo e dislocandolo da quello che avrebbe dovuto essere il suo legittimo “corpo”. La causa ultima di ogni bene è Dio, causa delle cause e primo autore di ogni bene. Dio può trarre il bene dal male, ma questo bene deriva appunto da Dio e non dal male, pertanto il male non è “causa” ma semmai “occasione” di bene.
    Nel caso che tu fai, da un’unione adulterina (o anche da uno stupro) può nascere un figlio la cui esistenza è un bene in sé, ma questo bene in sé non deriva dallo specifico dell’adulterio o dello stupro, che sono male, ma dal rapporto sessuale tra uomo e donna che è il “frammento” di bene a cui si aggrappa parassiticamente il male per corromperlo nell’adulterio o nello stupro.

    Se non si sgombra il campo da questo equivoco si arriva all’assurdo di dire che la nascita del figlio (evento buono) legittima anche l’evento cattivo che ne è stato occasione ovvero l’adulterio o lo stupro.
    In effetti questo sofisma è attualmente usato da chi vuole giustificare l’utero in affitto (e la schiavitù, il mercato di carne umana che ci sono dietro) perché “nascono i bambini”.

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    1. ba

      ho riletto quanto dici nel 5 motivo 3 obiezione e anche quanto dici nel commento sopra e in effetti è proprio su questi presupposti che ho esposto il mio argomento. se lo rileggi esso comincia proprio dal presupposto che l’adulterio è un peccato grave perchè contraddice l’indissolubilità del matrimonio e di conseguenza lo distrugge. tuttavia esso benchè male non è causa ma occasione di un nuovo matrimonio la cui causa ultima non è affatto l’adulterio, che ne è stata soltanto l’aitia, l’occasione, ma proprio dio stesso, e proprio per questo motivo avanzavo il paragone con la pena di morte dell’omicida. senza affatto giustificare l’adulterio,il fatto che nella seconda unione siano nati elementi di bene la cui causa ultima è dio implica che farebbe un nuovo peccato chi volesse distruggerli sulla base del sofisma che essi siano nati ‘a causa’ di un peccato. il peccato c’è stato e non si può giustificare, ma dove c’è stato il peccato, la grazia ha sovrabbondato. chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. chi al contrario si aggrappasse parossisticamente al precetto dell’indissolubilità dell’unione coniugale la cui violazione ha causato la morte di un matrimonio, userebbe un sofisma per vendicare un peccato contro l’indissolubilità dell’unione coniugale, peccato che c’è stato ma che non è la causa della nuova unione che si è creata, e compirebbe a sua volta questo stesso peccato contro la nuova unione coniugale la cui causa prima è addirittura il padreterno! così, dietro alla parvenza dell’intenzione di far rispettare un precetto, che purtroppo non era stato rispettato, celerebbe nient’altro che una parossistica volontà di vendetta distruttrice di una nuova unione coniugale secondo il precetto antico occhio per occhio, dente per dente. sarebbe un equivoco pensare che questo faccia poi risuscitare la vecchia unione distrutta dall’adulterio.

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  8. ba

    prendi la donna che ha avuto sette mariti.
    dal tuo punto di vista, sarebbero validi solo i matrimoni dei mariti dispari, in quanto il secondo matrimonio poichè distrugge il primo non sarebbe valido, ma il terzo non ha colpa dell’adulterio commesso dal secondo e quindi sarebbe valido, il quarto poi nuovamente distrugge il terzo e non sarebbe valido, il quinto invece non ha colpa dell’adulterio commesso dal quarto e sarebbe valido. allora la donna che ha avuto sette mariti, ne avrebbe avuti in realtà solo quattro validi, e per questo anche il suo attuale ottavo non è suo legittimo marito, in quanto marito pari.
    ma se invece si ritiene che l’adulterio sia solo la causa della fine dell’unione, e poi subentrino elementi di bene, allora potrebbero essere stati validi tutti e sette i matrimoni, ciascuno limitatamente al suo tempo particolare.
    p.s. alcuni esegeti dicono che la donna si chiamasse liz taylor

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  9. ToniS

    La grottesca voglia di superare, di “andare oltre”, la dottrina cattolica si diffonde incontrastata tra chierici e semplici fedeli da almeno quarant’anni, ora però si è fatta travolgente, dilagando persino tra i più stretti collaboratori del Papa.
    Per cercare di arginare in parte il fenomeno, alla metà di agosto di 17 anni fa, la Congregazione per la dottrina della fede fu costretta a pubblicare la dichiarazione Dominus Iesus, e fu accusata di voler distruggere il dialogo ecumenico!

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    1. Ricordo la pubblicazione della Dominus Iesus e quelle polemiche assurde. Mi ero convertito da poco e non riuscivo a capire: ma dov’è il problema se il Papa dice che la sua religione è quella vera? Se non lo è, di che stiamo a parlare allora? Tanto valeva restare ateo!

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  10. ToniS

    Per tornare al post (che condivido ampiamente), anche a me sembra che l’elegante immediatezza simbolico-retorica dell'”assegno in bianco” del bravo don Ariel, alla lunga non regga. Infatti, forse non dovrebbe essere Dio a manifestare una fede assoluta in Pietro, ma Pietro in Dio.
    Le Chiavi possono essere tante cose, e potrebbero essere anche codici di accesso e vincoli di un Progetto architettonico che solo Pietro può custodire, tradurre e sviluppare nei dettagli.
    Ma sono questioni da teologi, e la teologia nei tempi correnti…

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    1. Don Ariel, credo, cerca di tenere un giusto equilibrio (nel senso migliore del termine). La sua metafora è efficace, io ho solo osservato che ha bisogno di una postilla per essere completa.

      Quando questa crisi della Chiesa sarà passata – e io sono razionalmente sicuro che passerà – questo periodo storico sarà molto istruttivo per i posteri. Come lo fu la crisi ariana. Terribile per chi la visse, ma istruttiva. Quello che viviamo è un vaccino.

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  11. In AL se ne dicono tante …
    Su Al si è detto -e se ne dirà- di tutto e di più.
    Quello che penso -in negativo- di Al l’ho sempre brevemente detto sul mio blog e sui blog in cui intervenivo (e lo stesso vale per EG).
    Se mi posso permettere di aggiungere brevemente un “Perchè no”:
    no, perchè Al non è costruita su una solida base teologica ma più che altro sul “senso comune” (il “cattivo senso comune” che si è infiltrato, sostituendo il “sensus fidei” del popolo di Dio.
    Breve esempio citando Al 298: “il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto“.
    Allora il “cattivo senso comune” cosa induce a pensare?
    Induce a pensare: che colpa ha il coniuge che ha lottato e poi è stato ingiustamente abbandonato? E’ una povera “vittima”, pur se oggi sta con un altro/a è suo malgrado, diamogli la Comunione!
    Effettivamente pure io che ritengo avere il sensus fidei, sarei tentato a dire cosi …
    Ma non è cosi!. No, non è cosi!
    Infatti, e non ci vuole chissà quale scienza teologica per capirlo, paradossalmente, tra il coniuge abbandonato e il coniuge che ha ingiustamente abbandonato, la “pecorella smarrita” che ha bisogno di essere presa sulle spalle e ricondotta all’ovile non è colui/lei che ha subito l’ingiusto abbandono, ma colui che ingiustamente l’ha abbandonato/a. E’ questi quello da andare a ricercare e sanare, da ricondurre all’ovile. E’ questi che avrebbe bisogno di ricevere l’Eucaristia che “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (EG nota 351).
    Questo però il “cattivo senso comune”, che pensa crede e ragiona mondanamente, non lo accetterebbe mai!
    Eppure nella prospettiva -che io non accetto, sia ben chiaro- che pone AL questo è quanto di più “evangelico” possa esservi …

    Penso che sia chiaro che AL dal punto di vista teologico è deficitaria e fa acqua da tutte le parti.
    La Chiesa non ha mai fatto, nè può fare, mettersi da giudice di mezzo alle ragioni che avanzano due coniugi per i motivi della loro separazione e dare ragione a uno o all’altro, nè dire uno ha colpa e un altro no,; nè dire: tu sei più colpevole di quell’altro e non meriti mentre l’altro si! Bisognerebbe poter giudicare in “foro interno”, cosa impossibile.
    L’unica su cui la Chiesa può giudicare è la validità o meno di un Matrimonio.
    E se un Matrimonio è valido c’è ben poco da fare, la Chiesa non ha NESSUN potere e Nostro Signore Gesù Cristo nei Vangeli ci ha lasciato una pagina di chiarezza cristallina:
    Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”.

    Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”.

    Complimenti per il blog e cordiali saluti (scusandomi per la lunghezza del testo).

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    1. Grazie della segnalazione. Ho letto l’articolo. Rispondo precipitevolissimevolmente:

      a) l’autore dichiara che non è in discussione il male oggettivo ma la colpa soggettiva. Ma questa era la fase precedente del “piano”; adesso è stato fatto un passettino avanti e già si dice (non il Papa in prima persona, ma alcuni teologi messi in posizioni chiave, cfr da ultimo Chiodi) che nessuna regola morale è senza eccezioni. Il 2+2=5 di Spadaro. In questo modo si suggerisce che in certi casi eccezionali Dio potrebbe volere che tu vivi da adultero. Cioè stiamo mettendo in discussione proprio il male oggettivo

      b) abbiamo visto così tanti casi eccezionali, eccezionalissimi, che in pochi anni sono diventati la regola assoluta e un diritto insindacabile… per favore.

      c) il paragone con gli ortodossi è interessante. Ma non convince. Ma questo è un discorso un po’ più lungo.

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      1. Maria Grazia

        Che il paragone con gli ortodossi non convinca ci può stare per una serie di ragioni anche se, come ho letto dall’autore e dal proprietario del blog Ron Conte, di fatto sia i divorziati risposati che gli ortodossi che rimangono tali commettono oggettivo peccato mortale, i primi commettendo adulterio , i secondi rifiutando di entrare nella Chiesa Cattolica, che è un dovere per ogni essere umano.

        Perciò non è quanto sia convincente oppure no, è quanto il paragone sia oggettivo che conta.

        Riguardo al punto 1,quella è una cattiva applicazione di Al.

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      2. Ciao Maria Grazia, scusa il ritardo, ma ho passato un po’ di tempo a pensare a questo argomento.

        Il paragone tra divorziati risposati e ortodossi non è “oggettivo” perché le due entità a confronto sono dissimili proprio nell’aspetto per cui il paragone vorrebbe che fossero simili, cioè il peccato mortale.

        Svolgo molto sinteticamente il ragionamento.

        L’essere fuori dalla Chiesa cattolica è oggettivamente un male; ma spesso la persona “infedele” (uso questo termine nel senso tecnico di “non cattolico”) non è imputabile di peccato mortale, perché non ha la piena avvertenza. Infatti chi è stato educato ad un’altra religione, proprio per questo, non ha consapevolezza di dover entrare nella Chiesa; almeno fino a quando non trova un testimone affidabile che gli spiega il cattolicesimo e gli propone la conversione.
        Allora per chi è “infedele” è tutto ok? No. Infatti, se pure non può essergli imputato a titolo di peccato mortale il fatto di non essere cattolico, possono certamente essergli imputati tutti gli altri peccati mortali contro il diritto naturale che ha commesso nella sua vita. E qui il non cattolico è svantaggiato rispetto al cattolico perché, non avendo il sacramento della confessione, questi peccati non gli sono stati perdonati nel corso della sua vita. Forse se ne è umanamente pentito, ma è un atto di contrizione imperfetto, non sacramentale. Pertanto, quando muore, il non cattolico si presenta al giudizio particolare con tutto il suo debito. Da qui in poi sarà il giudizio divino che darà il giudizio perfetto, con perfetta giustizia e perfetta misericordia.
        Il precedente punto 2 vale a titolo generale per i non cattolici, ma gli scismatici ortodossi sono in una situzione particolare. Essi infatti hanno conservato la continuità apostolica e i loro preti amministrano i sacramenti “validamente sebbene illecitamente”. Perciò gli ortodossi hanno il sacramento della confessione e possono effettivamente confessarsi dei loro peccati.
        Pertanto il fedele ortodosso può davvero andare a prendere la comunione senza nessun peccato mortale, a differenza dei divorziati risposati. Perciò le due situazioni sono imparagonabili.

        Grazie di avermi segnalato il blog di Ron Conte; tradurrò in inglese questo commento e andrò a sottoporglielo.

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